Inquisizioni Musicali II - Boris Porena [1975] - Testi di inessenzialità
domenica 7 dicembre 2008
Composizione e produzione di discorso
[A1104] La quantità di lavoro prodotto (numero e ampiezza delle composizioni) è stata, ovviamente, esigua per coloro che avevano scarse o pressoché nulle conoscenze di tecnica compositiva, più abbondante in chi aveva già praticato un’attività musicale di livello professionale o semiprofessionale. Al lavoro quantificato in note scritte (in qualche caso anche solo progettate) va aggiunta, attività tutt’altro che trascurabile, la produzione di discorso, di un discorso su e con la musica, la cui circolazione si è estesa anche fuori del conservatorio, toccando, seppure di sfuggita, altri ambienti, altri luoghi della società. Gli argomenti affiorati durante questo primo anno di lavoro (che ufficialmente è di prova per gli allievi, in realtà lo è per il corso stesso) sono stati assai vari e non sempre legati da consequenzialità logica o storica. L’idea base essendo quella di lasciar quanto più possibile campo libero all’iniziativa dei partecipanti (tra i quali, naturalmente, anche il ‘docente’), sulle prime le proposte di lavoro si sono accavallate alla rinfusa e gli itinerari battuti molto spesso si sono rivelati a fondo cieco: cosí alcuni tentativi di imitare strutture e procedimenti musicali sistematicamente assai evoluti (Bach, sonata classica, dodecafonia schönberghiana ecc.). La mancanza di un indirizzo preconcetto ha forse dato in certi momenti l’impressione che si stesse perdendo tempo. Meglio tuttavia un po’ di tempo perso nella definizione autonoma (anche se sorvegliata) di una scelta, che non i lunghi anni spesi (e forse persi) nell’apprendimento di qualcosa che altri hanno scelto. A poco a poco tuttavia, riconosciuti i vicoli ciechi (ciechi, s’intende, per l’interesse del singolo), ricondotti anche i problemi entro l’orizzonte tecnico di ciascuno, si sono venute delimitando due aree preferenziali, su cui si è concentrata l’attenzione dei partecipanti: la musica tardo-medievale –in particolare il Minnesang e il Trecento italiano (Codice Squarcialupi)− e lo strutturalismo dei giorni nostri, da Bartók alla serialità integrale e alla tecnica dei gruppi. I partecipanti con scarse o inesistenti cognizioni tecniche hanno cosí sperimentato, attraverso la mediazione archeologica, un tipo, ancorché piuttosto semplice, di attività compositiva: non l’esercizio astrattamente grammaticale di una lingua imposta, ma concreta produzione di senso musicale entro coordinate linguistiche liberamente scelte. Si è in tal modo evitata la tradizionale separazione (quando non contrapposizione) delle dimensioni organizzative della musica (verticale = armonia, orizzontale-lineare = melodia, orizzontale-polilineare = contrappunto, globale = forma), restituendo al comportamento produttivo quell’unità organica che peraltro è il naturale corrispondente di un’attività organicamente percettiva. Alla coscienza dell’organicità di ambedue i momenti, produttivo e percettivo, si è cercato di giungere attraverso un paziente lavoro analitico, rivolto soprattutto ai modelli scelti per l’esercizio pratico della composizione: da un lato i modelli medievali, dall’altro esempi di tecnica strutturale da Bartók a Stockhausen. Sporadicamente sono stati analizzati esempi tolti dall’area linguistica ‘tonale’ (Schubert, Mahler). Circa i metodi e di analisi e di sperimentazione compositiva, ha prevalso, dopo tentativi in varie direzioni, un indirizzo dinamico-trasformazionale piuttosto che statico-strutturale. Ciò tuttavia senza pregiudizio dell’autonomia di ogni singola ricerca, di ogni singolo esperimento compositivo. Si è deliberatamente evitata una precettistica (grammaticale, sintattica, formale) che non fosse immediatamente dedotta dall’esame di oggetti storici, antichi o recenti. Caso per caso i criteri di organizzazione dei suoni, oggettivamente validi nella loro collocazione storica, sono stati assunti come del tutto arbitrari negli esperimenti di composizione condotti entro particolari aree sistematiche (linguistiche). Cosí la tradizionale proibizione di quinte e ottave consecutive, come anche il divieto di ottava per i lavori dodecafonici sono stati analizzati in quanto convenzioni negative (interdizioni) definite all’interno di spazi semiologici privilegiati dalla nostra cultura; se ne è tuttavia tenuto conto soltanto nel caso in cui le coordinate tecniche dell’esperimento in questione cadevano effettivamente nell’area di interdizione, non quindi nel caso di contrappunti a due di impostazione più o meno arsnovistica e neppure (relativamente al divieto di ottava) in alcuni esperimenti di stockhauseniana ‘Gruppentechnik’. L’arbitraria scelta degli ambiti sistematici (linguistici) e, conseguentemente, delle relative norme di comportamento, hanno spesso reso difficile un’esatta delimitazione dell’errore. La correzione, salvo i casi di flagrante incoerenza, è stata perciò intesa e praticata più come un tentativo di migliorare il rendimento informativo di una certa struttura, di un certo procedimento, che non come sostituzione dell’ ‘errato’ con il ‘giusto’. Ogni proposta di cambiamento è stata comunque più o meno ampiamente discussa, talora anche respinta o momentaneamente accantonata. Tra le modalità di lavoro, la più accetta è stata la discussione collettiva sia su esempi storici che su dati elaborati dai singoli partecipanti. È stata tentata più volte, e con risultati soddisfacenti, anche una pratica compositiva estemporanea (per esempio alla lavagna) e di gruppo, sia su materiali codificati (ars nova, Minnesang) che su materiali non codificati (gruppi, suoni-rumore, musica gestuale).
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