Musica - società

Inquisizioni Musicali II - Boris Porena [1975] - Testi di inessenzialità


domenica 6 febbraio 2011

Iniziare dall'inizio

1. Tutto ciò che può essere detto

E così iniziate dall'inizio!

Buona lettura!

(Grazie dall'idea Dario)

domenica 7 dicembre 2008

I.2(3) Pomeriggio illustrativo di Kinder-Musik a Firenze

3. Pomeriggio illustrativo di Kinder-Musik

[A123] 3. Firenze, 26 giugno 1973: pomeriggio illustrativo di Kinder-Musik. Partecipanti: una ventina tra bambini delle elementari e ragazzi della media; una quarantina di insegnanti (non solo di musica e non solo di scuola media). Microfono, registratore, altoparlante. Esperimenti: domande di approccio («vi piace la musica?» – «ne avete sentita e dove?» – «chi di voi studia musica?», ecc.); imitazione di un temporale: vento (sibilo e ululo), pioggia (dita su legno), tuono (crash al microfono), densità e intensità degli eventi in aumento poi in diminuzione (effetto di avvicinamento-allontanamento); suono mobile (vedi esperimenti di Bologna), prima onomatopeico, poi autonomo (r ed s in moto incrociato); crescendo-diminuendo per aumento-diminuzione di densità (entrate guidate dall’apertura delle braccia, suoni simili o diversi, preordinati o imprevisti); improvvisazione di tre gruppi (suoni bianchi, flauti, percussione) e di un vocalista con microfono (giudizio al riascolto: monotono, confuso, inarticolato); altra improvvisazione, come sopra (unanimemente riconosciuta migliore, perché più varia, più conseguente negli spunti associativi ecc.); improvvisazione al microfono (soli e piccoli gruppi, a rotazione fra tutti). Discussione: 

a) con i ragazzi: «divertente» – «fa passare il tempo» – «è musica» – «ci abitua a far musica tutti assieme» – «ci abitua a regolarci gli uni sugli altri, ad ascoltarci, poi a intervenire, a organizzarci»; 

b) con gli adulti (consenso unanime – nel senso che non si sono avute opposizioni dichiarate): accostamento alla problematica musicale di oggi (Stockhausen, Cage, improvvisazione ecc.); esperienze socializzate e socializzanti; educazione all’ascolto attento; stimolazione di creatività; attività espressiva, liberatoria (critica mia ai concetti di creatività, espressione, liberazione e tentativo di ricondurli a una matrice relazionale, sociale: perché si abbia espressione occorre almeno un ricevente che la interpreti come tale ecc.); segnalazione di esperienze analoghe condotte all’estero; segnalazione di esperienze analoghe condotte con adulti; possibilità di utilizzazione di Kinder-Musik nell’educazione di bambini spastici o subnormali; opportunità di elaborare un metodo sulla traccia di Kinder-Musik e di esperienze analoghe; notata e additata alla riflessione la convergenza tra momento pedagogico e momento propriamente compositivo; «qui si è effettivamente parlato di musica, cosa che di rado accade tra i musicisti» (Paolini); riconoscimento della necessità che la musica ritorni nel mondo, ancori i suoi problemi a quelli della società, riconquisti quella funzione primaria, comunicazionale e agglutinante, che la recente dispersione in ambiti sovrastrutturali (cultura di élite) aveva quasi del tutto cancellato.

Esperimenti, varianti, discussione

[A1223] 22 maggio, mattina. Stesso luogo, stesse condizioni, stessi partecipanti della mattina precedente. Esperimenti: ragazzi e allieve maestre giardiniere disposti promiscuamente tutt’intorno alla sala, esercizio di suono mobile (dapprima onomatopeico, automobile in corsa e simili, poi esperito nella sua autonoma qualità); stesso esperimento con due direttori ‘pilotanti’ suoni diversi in senso inverso (palese aumento di partecipazione attenta); ragazzi e allieve divisi in gruppi, ognuno con un proprio suono (dita tamburellate su sedia, tamburi, tamburelli, flauti, piatti e cimbalini, suoni vocali o sibili ecc.): esercizi di ‘composizione’ di suoni in una vicenda sonora (esempio: sul ‘continuo’ del tamburellamento interventi degli altri gruppi, dapprima su indicazione di un direttore, poi in libera improvvisazione); variante: il gruppo vocale, guidato da un direttore, intona a va e viene l’inno di Mameli (l’unica melodia conosciuta quasi da tutti), cosí contribuendo alla comune improvvisazione (risultato eccellente – in rapporto al grado di selettività musicale fin qui conseguito dai partecipanti; interesse generale, entusiasmo, richiesta di continuare ecc.). Discussione: «Mi sono divertito moltissimo» – «È bello perché la musica ce la facciamo da noi» – (maestra giardiniera) «Suoni e rumori qualsiasi acquistano significato nel momento in cui entrano a far parte di una struttura organizzata, di un discorso» – «È evidente il significato politico di un’esperienza del genere» – «Si può affinare la sensibilità del ragazzo fino a fargli percepire e utilizzare differenze minime tra i suoni» – «Buono anche per l’insegnamento tradizionale: imparano a stare attenti ai suoni e alle loro variazioni» – «Imparano ad ascoltare e a rispettarsi a vicenda» ecc.

Attenzione, autocontrollo, partecipazione fisica e mentale

[A1222] 21 maggio, pomeriggio. Scuola statale del centro. Aula di medie dimensioni. Circa 20 ragazzi (maschi e femmine) di prima media; circa 20 allieve maestre giardiniere; circa 20 insegnanti di scuola media. Incontro caratterizzato da attenzione, autocontrollo, partecipazione fisica e mentale (ragioni probabili: minori inibizioni in ragazzi abituati a essere presi in considerazione, quindi anche a esprimersi correttamente; minor numero di partecipanti e giusto rapporto con la grandezza dell’ambiente; probabile maggior interesse per la musica da parte del corpo insegnanti). Esperimenti: colloquio preliminare su avvenuti ascolti di musica (V Sinfonia di Beethoven: «vi si sente la malattia che avanza» – «ma come la si sente?» – «ci sono delle parti calme e delle parti agitate e forti»); esercizi di contrapposizione tra eventi ‘lisci’ ed eventi ‘turbolenti’ (due gruppi, l’uno con suoni lungamente tenuti, l’altro con interventi percussivi o gridati); osservazioni sui rapporti di durata e sul fattore sorpresa; esercizi di trasformazione di un suono (per esempio il suono ‘bianco’, variamente filtrato dalla se alla s); esercizi su variazioni di intensità in un continuo; canto interrotto –cioè proseguito mentalmente– poi ripreso al punto giusto; dialogo tra questo canto e il suono ‘bianco’ di un secondo coro; esercizi di direzione sulla base di questo materiale. Discussione sugli esperimenti: vivacissima, ricca di spunti nuovi. Alcune osservazioni: «Utile perché siamo noi a fare la musica e cosí capiamo meglio anche quella degli altri, poi perché impariamo ad ascoltarci e a regolarci a vicenda» – «Questo esperimento va bene non solo per la musica, ma anche per le altre arti e per quello che si fa tutti i giorni» – «Ma è anche un modello di comportamento sociale, è un insegnamento politico» (osservazione di una maestra giardiniera). All’obiezione di un anziano insegnante: «Ma dove si va a finire!» un ragazzo ha risposto: «Se gli uomini se lo fossero sempre domandato, abiteremmo ancora nelle caverne».

I.2(2) Sperimentazione a Bologna

2. Sperimentazione a Bologna (21-22 maggio 1973)

[A1221] 21 maggio, mattina. Scuola confessionale di periferia. Grande ambiente disadorno (palestra, refettorio?) 40-50 ragazzi (maschi) di prima media; circa 30 allieve maestre giardiniere; piccolo gruppo (10-15) di insegnanti di scuola media. Incontro turbolento per impossibilità di ottenere il silenzio e l’attenzione dei ragazzi (ragioni probabili: scarsa autorità dell’insegnante –un esecutore di tromba troppo incline a suonare il suo strumento–; inibizioni di carattere sociale, senso del ridicolo, paura di essere presi in giro; eccessivo numero di partecipanti ed eccessiva grandezza dell’ambiente; equivoco: musica = perdita di tempo = gazzarra, latente in Italia già nella classe insegnante). Esperimenti: invenzione collettiva di suoni e di comportamenti sonori (scarso rendimento); esercizi di crescendo e diminuendo, diretti a turno dai partecipanti (scarso rendimento a causa del rumore di fondo); contrapposizione di gruppi, ciascuno con un proprio suono (scarso rendimento, anche per la timidezza dei ‘direttori’); tentativo di ricontestualizzazione di un brano melodico noto (sigla dell’Eurovisione, cantata all’unisono con la tromba): si finge una dualità di esecutori e pubblico, quest’ultimo plaudente o disapprovante, con retroazione sugli esecutori, che modificano il loro intervento (risultato poco migliore, forse per la evidente teatralizzazione degli accadimenti). Discussione sugli esperimenti compiuti: piuttosto generica, denotante interessamento, curiosità, ma anche diffidenza e incomprensione; ricerca delle cause dello scarso successo, si resta in attesa di ulteriori prove. Ragazzi in parte divertiti, in parte sospettosi, alcuni decisamente annoiati. Uscendo, ci accoglie il silenzio del sagrato antistante l’edificio.

Due ultime trasmissioni: composizione e progetti

[A1217] Le due ultime trasmissioni saranno dedicate l’una alla composizione (come fondamento del ‘far musica’, da estendersi quindi a tutte le scuole, ovviamente entro i limiti di competenza legati alla presenza effettiva della musica nella scuola), l’altra, cioè l’ultima del ciclo, alla realizzazione di progetti elaborati e inviati alla Rai –in risposta all’invito più volte ripetuto– da gruppi di ragazzi della scuola media* (testo pubblicato in «Sintonia», Eri, Torino, n. 3, marzo-aprile-maggio 1973)·

* Diversamente da quanto progettato, l'ultima trasmissione è stata dedicata invece all'improvvisazione.

Strutture e circuiti di utilizzazione della musica

[A1216] Nel progettare ora, sempre a grandi linee, un secondo ciclo di sei trasmissioni, si è pensato di introdurre degli argomenti attinenti all’utilizzazione della musica da parte dell’individuo e della società (delle società), con riguardo alle strutture, ai circuiti che tale utilizzazione rendono possibile: 

1) l’utilizzazione sociale della musica (canti rituali, di lavoro, di guerra, canti religiosi, infantili ecc., musica da ballo, ‘di consumo’ ecc.); 
2) la fruizione estetica (la musica ‘assoluta’, la pratica musicale in Occidente, le istituzioni a tal fine create dalla società); 
3) l’interpretazione (il canto, lo strumento, la collettività orchestrale, il direttore); 
4) il teatro musicale. 

Si cercherà di conservare a queste trasmissioni la ‘doppia faccia’ del discorso, associando a ogni argomento dei suggerimenti per un’attività pratica.

Argomenti generali trattati

[A1215] Gli argomenti trattati nel primo ciclo avevano tutti carattere assai generale (generico), e arbitraria era anche (né poteva essere altrimenti) la loro ripartizione: 

1) che cos’è la musica; 
2) il suono; 
3) il ritmo; 
4) la melodia (l’organizzazione orizzontale dei suoni); 
5) l’armonia (l’organizzazione verticale dei suoni); 
6) la musica come linguaggio (come sistema semiologico a molti livelli). 

In ogni trasmissione si è cercato di avviare un discorso sulla musica e un discorso con la musica; quest’ultimo, dati i limiti di tempo e di preparazione degli allievi, più come suggerimento che non come modello di realizzazione.

Nove osservazioni dall'esperienza

[A1214] L’esperienza di sei trasmissioni di Musica e ragazzi, nella sua esiguità e con quel tanto di fortuito che del resto era implicito nelle premesse, non permette certo di trarre delle conclusioni, né sulle condizioni ambientali cui la musica si trova esposta nella scuola italiana, né sugli indirizzi metodologici più consoni a quelle condizioni. Il carattere sperimentale di questo primo gruppo di trasmissioni ha limitato il consuntivo ad alcune sporadiche osservazioni, non prive tuttavia di valore sintomatologico: 

1) i ragazzi partecipano con interesse a discorsi di argomento musicale, tanto più quanto più avvertono che la musica è anche cosa loro e non cosa che gli viene elargita dagli adulti; 

2) dimostrano, di fronte a un fenomeno musicale inconsueto, mente più libera, cioè più pronta ad accettare ma anche a indagare criticamente, che non la mente acculturata dell’adulto; 

3) non rifuggono, se opportunamente sollecitati, dal riflettere sul dato acquisito, anche a costo di rimuovere pregiudizi, peraltro non ancora profondamente radicati; 

4) le loro osservazioni raramente sono irrilevanti (di fatto solo in quei casi in cui sono evidentemente ripetitive, e allora attenzione alle cose troppo ben dette!), il più delle volte si tratta solo di saper adeguatamente intendere la polivalenza (conseguente all’ovvia povertà) del lessico infantile; 

5) meno sviluppata è invece (contrariamente a ciò che comunemente si afferma) la cosiddetta creatività, il che è del tutto naturale, se si considera che l’atto creativo (il quale, diversamente dalla creatività, è verificabile direttamente) si fonda e incide su una situazione preesistente perfettamente conosciuta; 

6) ottima è la ricettività nei confronti di principi e modelli organizzativi –e qui occorre semmai ostacolare la tendenza ad assumerli per inerzia ripetitiva, opportunamente stimolando spontanei impulsi ‘contestativi’; 

7) tutto può –deve– essere detto senza badare alla ‘difficoltà’ dell’argomento e dei concetti il cui uso sia necessario: è solo questione di regolare convenientemente il rapporto tra l’informazione che si vuole trasmettere e il tempo in cui effettivamente la si trasmette, basta cioè percorrere con pazienza tutti i livelli analitici del linguaggio, definendo gli elementi di ogni livello con quelli di livello immediatamente inferiore, senza omettere alcun passaggio; 

8) più spesso che non si creda ciò che appare ‘difficile’ all’adulto non lo è per il ragazzo e, naturalmente, viceversa: la frequenza, nelle menti infantili, dei cortocircuiti logici (intuizioni) è stupefacente; 

9) la musica è bene che venga destinata non solo e non tanto all’arricchimento del ‘patrimonio’ culturale del ragazzo, quanto e soprattutto all’attivazione dei circuiti mentali, liberandoli da ingorghi nozionistici e favorendo in essi la circolazione di materiali autonomamente indagati e organizzati.

Altri modi di avvio a un discorso su e con la musica

[A1213] Non vogliamo qui riproporre all’attenzione delle autorità scolastiche gli insostituibili valori pedagogici, didattici, informativi della musica, né addurre la vastissima documentazione che li comprova (e non occorre rifarsi sempre e solo alle esperienze straniere, basta interrogare anche da noi i presidi di quelle scuole dove la musica è effettivamente presente); ma desideriamo piuttosto ricercare altri modi di avvio a un discorso nelle scuole su e con la musica. La Rai ha organizzato, nel quadro di La Radio per le scuole, una serie di trasmissioni sperimentali fondate appunto sul trinomio scuola, musica, ragazzi. Protagonisti ne saranno i ragazzi, e non per ovvia acquiescenza a una moda che difficilmente plaudirebbe a una trasmissione per i giovani senza i giovani come primi attori, ma perché il momento sperimentale non può che coincidere con il momento della ricerca e della scoperta, individuale e collettiva, dell’evento musicale da parte di coloro che vi assistono e che lo producono. Del tutto naturalmente, quindi, l’incontro musica-allievi di scuola media si dispone secondo due ordini di esperienza, complementari e variamente intersecantisi, l’uno pratico, l’altro teorico-speculativo. Alla ricezione o alla produzione del suono o del nesso linguistico-musicale si accompagnano il riconoscimento e la riflessione sul dato acquisito, la sua collocazione entro un contesto di fenomeni analoghi, il suo inquadramento storico e un eventuale progetto di utilizzazione a fini espressivi o di comunicazione. Che un dialogo sulla musica cosí impostato sia effettivamente possibile nell’ambito della scuola media, che cioè la metodologia analitica, riconosciuto fondamento di ogni serio approccio alle cose, possa applicarsi utilmente anche all’interno dello spazio definito dai tre termini suddetti –scuola, musica, ragazzi– questo si vuole, con le nostre trasmissioni, se non dimostrare, almeno proporre alla discussione (dal testo di presentazione, pubblicato in «Sintonia», Eri, Torino, n. 2, gennaio-febbraio 1973).

Incontro fugace e irrilevante?

[A1212] È chiaro che, a queste condizioni, tutto si risolve in un fugace incontro, e neppure dei più simpatici, dato che la sua irrilevanza non vale a strappare il velo della reciproca estraneità. Non si faccia carico, quindi, agli insegnanti di musica, se i risultati sono scarsi: è già molto se il ragazzo arriverà a sospettare l’esistenza, nella società, di un’area di produzione e di comunicazione culturale detta ‘musica’, da non identificarsi necessariamente con la merce sonora che da altoparlanti e video dolcemente lo attira nella propria passività. Comunque, se anche questo sospetto può essergli balenato in quell’anno di timorosa convivenza, la scuola gliene cancellerà ben presto il ricordo e sancirà la definitiva separazione dei tre termini, cosicché, nella maggior parte dei casi, anche fuori della scuola musica e ragazzi non s’incontreranno più.

I.2(1) Dodici trasmissioni radiofoniche

1. Musica e ragazzi – dodici trasmissioni radiofoniche per le scuole medie (gennaio-marzo 1973).

[A1211] In Italia, lo si sa e lo si lamenta a oltranza, ma in genere ci si limita, appunto, alla costatazione e conseguente lamentazione, in Italia queste tre entità, scuola, musica, ragazzi, si sovrappongono e interagiscono in un ambito temporale ristrettissimo, per lo più un solo anno scolastico, la prima media, cui in casi singolarmente fortunati si aggiungono altri due anni di frequenza facoltativa, il tutto al ritmo travolgente di un’ora la settimana. Prima e dopo, niente, se non per l’audace iniziativa di presidi pionieri.

I.2 Scuola, musica, ragazzi (Un semestre di sperimentazioni didattico-pedagogiche con Kinder-Musik)

Postilla

[A1113] Il problema della composizione è storicamente e localmente determinato dall’insieme dei rapporti che legano la società a un dato insieme di rapporti interni tra suoni. Lo studio tecnico di un qualsiasi ‘sistema’ (tonale, seriale, classico indiano ecc.) non è ancora studio della composizione, finché l’attenzione non venga orientata verso le funzioni esercitate da quel sistema nella società che ne ha favorito l’evoluzione, ovvero in una società che a qualsiasi titolo lo riesuma. Ciò sembrerebbe contraddire lo studio tradizionale, soprattutto ottocentesco, della composizione, quando l’apprendimento dell’armonia, del contrappunto, delle forme ecc. costituiva l’unico fine legittimo di quello studio, la cui specificità era giustificata dal luogo in un certo senso extra- (super-) sociale occupato dall’Arte (diversa la giustificazione sei-settecentesca, discendente da un concetto di specificità artigiana). In verità, a parte le fossilizzazioni conservatoriali, anche in passato i rapporti tra sistema e sua utilizzazione sociale erano al centro della problematica compositiva, come dimostrano la totale fruibilità e del sistema e delle opere che lo statuiscono, solo che l’aspetto tecnico del problema coincideva pressoché interamente con la tecnica intrinseca al sistema (per l’ottimale sua integrazione nel quadro delle funzioni socioculturali), quindi studiare e sviluppare l’una significava automaticamente agire sull’altro. Non cosí oggi, dove, essendo arbitraria, cioè non socialmente vincolata e vincolante, la scelta del sistema, la tecnica ad esso intrinseca resta una conseguenza privata di questa scelta, mentre il problema compositivo, cioè di comunicazione musicale all’interno della società, resta aperto in tutti i suoi aspetti, compreso quello tecnico

Tecnico solo in parte

[A1112] In questo primo anno di attività il nostro corso sperimentale di composizione si è andato sempre più chiaramente configurando come un nodo (uno dei tanti) del discorso musicale generalizzato. L’aspetto propriamente tecnico, nelle sue fasi –didattica, apprenditiva, produttiva–, lo ha caratterizzato solo in parte, ampio spazio essendo stato dato alle discussioni sulla musica come progetto semiologico, come una delle reti comunicazionali della società. Sia nella produzione ‘in note’ sia nel discorso provocato e alimentato anche all’esterno, non è mai mancato il momento autogenerativo, lo sfruttamento cioè del ‘rumore di fondo’, dell’alea informativa offerta dall’ambiente, nel processo di formazione e di trasformazione del discorso stesso. Uno di noi ha giustamente osservato che certi esercizi compositivi, pur circoscritti al problema dell’individuazione semiintuitiva di elementi ‘stilistici’, tenevano conto dell’attuale situazione postcagiana, anzi solo dal cosciente rapporto con essa traevano il loro significato. Altri lavori forniscono invece interessanti indicazioni sulla possibilità di un approccio compositivo tecnicamente corretto partendo dall’oggi anziché dall’ieri (magari per risalirvi qualora sorga un effettivo interesse). Ancor più l’azione autoregolatrice e autostrutturante del gruppo è apparsa evidente nel rapido aggiornamento del discorso globale sulla musica e nell’affiorare in esso di progetti ‘compositivi’ coinvolgenti l’intera traiettoria comunicazionale, dalla fase produttiva a quella ricettiva, coinvolgenti cioè un (ideale) pubblico. Individualmente ciascuno di noi credo abbia sentito trasformarsi il discorso al passaggio attraverso il nostro gruppo: l’entità del cambiamento, la quantità di nuova informazione prodotta non è qualcosa di valutabile in senso assoluto, ma va considerata in relazione alle condizioni locali. Se qualcosa di più largamente utilizzabile si è prodotto o si potrà produrre, non è possibile riconoscerlo qui e ora; qui e ora non abbiamo che le nostre impressioni personali, tra le quali cito la mia come l’unica di cui ho effettiva conoscenza, e la citazione è costituita appunto da questa relazione, sulla cui attendibilità non c’è che da interrogare i miei –diciamo cosí– allievi.

Fattore permanente e universale di strutturazione e trasformazione sociale

[A1111] Una risposta a questi interrogativi, forse l’unica oggi possibile, è immediatamente deducibile dall’ipotesi antropologica che il momento educazionale, anziché essere propedeutico all’accoglimento dell’individuo nella società, sia un fattore permanente e universale (per la specie umana) di strutturazione e trasformazione sociale. Non sarebbero quindi più da ricercarsi soltanto le omologie, le corrispondenze funzionali tra scuola e vita, tra scuola e lavoro, bensì, a cominciare appunto dalla scuola, ogni momento della vita associata e ogni rapporto tra momenti e tra questi e il tutto andrebbero considerati anche nella loro funzione autoregolatrice e autostrutturante all’interno dell’ecosistema umano. Ne consegue, per la fase didattico-pedagogica, da un lato la perdita di territorio riservato (l’esclusività dei problemi della scuola), dall’altro la copertura, differenziata a seconda dei punti di applicazione, di tutto l’ambito sociale. Quanto alla sperimentazione, oggi anch’essa fondamento comune di ogni comportamento sociale, l’identità della sua area di applicazione (la società tutta intera) con quella del momento educazionale, produce un insieme di corrispondenze, da cui scaturisce il suo vero significato: che non è garantito da passate o future certezze, né distingue tra fasi transitorie, propedeutiche e altre ‘più valide e costruttive’, ma si definisce punto per punto nell’infinita variabilità delle situazioni e delle esperienze umane, ovunque bisognoso di verificarsi, in quanto significato, nell’utilizzabilità sociale.

Sperimentazione? Quale? Come?

[A1110] Sperimentazione, quindi, iniziale e temporanea, in vista di un progressivo consolidamento delle scelte e delle acquisizioni relative ad esse? Sperimentazione come momento metodologico e pedagogico di accostamento alla musica nell’età della sua crisi radicale − istituzionalizzazione cioè della fase sperimentale appunto in quanto fase, con l’occhio volto al superamento suo e della crisi tout-court? Ovvero sperimentazione iniziale come modello di un comportamento permanente, l’unico adeguato all’attuale condizione del pensiero riflesso? (Una condizione per cui ogni immagine di certezza è mito o utopia, da analizzare soltanto nei suoi significati secondari, mediati). In che rapporto la «sperimentazione di nuovi metodi didattici» –secondo la dizione ufficiale– sta con la sperimentazione culturale oggi ovunque in atto, con il concetto di ‘autogenerazione del discorso’, sostitutivo di quello, classicamente borghese, di bene o patrimonio culturale?

Vantaggi fin troppo evidenti

[A1109] Per contro, i vantaggi immediati di un corso di composizione impostato su basi sperimentali sono fin troppo evidenti. Difficilmente uno studio ‘normale’, incentrato sull’apprendimento della lingua musicale d’Occidente al suo massimo grado di sviluppo, potrebbe dare nel giro di pochi mesi dei risultati di ordine compositivo, cioè non limitati a esplorazioni parziali di alcune componenti del sistema (per esempio i collegamenti armonici elementari). Anzi occorrono di regola svariati anni perché le acquisizioni disparate dei vari codici e regole di combinazione si unifichino in una considerazione organica della comunicazione musicale, e anche allora ciò avviene per lo più come eteronoma sovrimpressione di modelli, senza che di essi venga indagato, accanto all’aspetto sistematico, quello autoorganizzativo. Diversamente nel corso sperimentale, dove è proprio il rapporto tra codificazione e autostrutturazione ciò che viene primariamente indagato, ovviamente su esempi il cui debito verso un ‘sistema’ sia valutabile –approssimativamente– anche a un’analisi basata su scarsi presupposti tecnici. Escluse quindi, come aree di esercitazione, le fasi di massimo sviluppo sistematico (polifonia fiamminga e cinquecentesca, polifonia barocca, armonia ottocentesca ecc.) e limitate le scelte nel senso qui documentato, l’esperienza compositiva dei partecipanti a questo primo anno di corso sperimentale ha avuto spazio per indagare su se stessa e sulla necessità o meno di riferirsi a un ‘sistema’. È chiaro tuttavia che anche un’indagine di questo tipo, se vuol sottrarsi al pericolo di un precoce accademismo, dovrebbe per quanto possibile fondarsi sull’esperienza concreta di una situazione compositiva interna a un’organizzazione sistematica sufficientemente evoluta, e qui sta una delle maggiori difficoltà, si direbbe, immanenti a una sperimentazione condotta in larga parte sul ‘vuoto’ tecnico. Singole buone riuscite di questo o quell’esperimento, singole acquisizioni speculative su che cosa è musica e qual è il suo luogo nel mondo non debbono illudere sulla labilità delle basi, talora vistosamente elaborate in sede teorico-critica, quasi sempre tuttavia altrettanto vistosamente carenti di sostanzialità pratica. Questa d’altronde è abbastanza strano che debba venire tanto a lungo (non meno di sette anni di corso normale) esercitata in un ambito linguistico che non è più il nostro; c’è da chiedersi se delle basi di cosí laboriosa costruzione non finiscano per trasformare in gabbia tutto l’edificio e se quest’ultima circostanza non sia di gran lunga più pericolosa di una iniziale –stimolante, non inerte– labilità.

Mestiere: critica individuale, discussione collettiva

[A1108] Va osservato che il rendimento va comunque rapportato a un’esperienza compositiva corrispondente a quella di un allievo di primo anno del corso normale di armonia. Con ciò non si vuole affatto affermare una superiore competenza tecnica dei partecipanti al corso sperimentale di composizione – un buon compito di armonia tradizionale è probabilmente migliore garanzia di ‘mestiere’. Ma è proprio il mestiere, è l’utilizzabilità culturale, sociale di un’abilità tecnica non accompagnata da coscienza storica e per di più circoscritta a un sistema in via di rapida liquidazione (o emarginazione nel ‘consumo’), a farsi oggetto, in questo corso propriamente sperimentale, di esperienza critica individuale e di discussione collettiva. Certa maggiore scioltezza nell’affrontare da diversi punti di vista il problema della comunicazione musicale si paga forse con un più ampio margine di indeterminazione tecnica, con un iniziale slittamento dalle certezze professionali ai dubbi sul senso di quelle certezze.

Secondo caso, due approcci

[A1107] Secondo caso (diploma di pianoforte – superficiali conoscenze teoriche – interessi sociologico-politici – facoltà di legge). Primo approccio: imitazione empirica di stili e autori ‘tradizionali’ (Bach, i classici) – rendimento piuttosto scarso. Secondo approccio: tecnica seriale, esercizi di serializzazione dei vari parametri (modelli: Messiaen, Nono), tentativi di funzionalizzare la tecnica in direzione del risultato percettivo, di renderla cioè comunicante – rendimento assai migliore.

Primo caso, quattro approcci

[A1106] Primo caso (conoscenze teoriche di base pressoché nulle – difficoltà di decifrazione delle note – nessuna pratica strumentale – studi universitari a indirizzo scientifico). Primo approccio: l’armonia tonale, esercizi di concatenazione degli accordi – rendimento scarso. Secondo approccio: la melodia modale, esercizi di articolazione orizzontale – rendimento scarso. Terzo approccio: l’analisi strutturale a livello macro-formale, grafici relativi alle corrispondenze nella Tetralogia e l’Orfeo di Monteverdi – risultati interessanti ancorché da approfondire (con maggiore impegno tecnico). Parallelamente, quarto approccio: composizione di strutture su basi combinatorie e informazionali (modelli: certo Bartók, Webern) – rendimento qualitativo decisamente superiore che negli approcci precedenti.

Giudizio ‘qualitativo', giudizio 'di merito'?

[A1105] Difficile, date le modalità di lavoro adottate, un giudizio ‘qualitativo’ su ciò che è stato fatto e ancora più difficile un giudizio ‘di merito’ sui singoli partecipanti. L’assiduità e il vivace interessamento di tutti a lavoro comune mi sembrano tuttavia assai più degni di considerazione che non questa o quella migliore ‘riuscita’. In alcuni è prevalso un approccio di tipo problematico, e il lavoro, nero su bianco, è stato per esempio quantitativamente scarso ma criticamente assai vigile e stimolante. Per altri si è trattato di esplorare attivamente ampie fasce di evoluzione tecnica, per esempio la serialità da Schönberg alla Darmstadt degli anni cinquanta, e il lavoro è stato anche quantitativamente rilevante. In altri casi ancora la manifesta secondarietà degli studi musicali ha ridotto la partecipazione alla sola presenza nelle ore di conservatorio: non di rado tuttavia il rendimento qualitativo proprio di questi partecipanti si è rivelato tra i più alti, per esempio nella discussione. Ogni caso individuale meriterebbe pertanto di essere dettagliatamente esaminato anche in questa sede: mi limiterò tuttavia a citarne due, perché caratteristici di due accostamenti assai diversi al problema della composizione musicale.

Composizione e produzione di discorso

[A1104] La quantità di lavoro prodotto (numero e ampiezza delle composizioni) è stata, ovviamente, esigua per coloro che avevano scarse o pressoché nulle conoscenze di tecnica compositiva, più abbondante in chi aveva già praticato un’attività musicale di livello professionale o semiprofessionale. Al lavoro quantificato in note scritte (in qualche caso anche solo progettate) va aggiunta, attività tutt’altro che trascurabile, la produzione di discorso, di un discorso su e con la musica, la cui circolazione si è estesa anche fuori del conservatorio, toccando, seppure di sfuggita, altri ambienti, altri luoghi della società. Gli argomenti affiorati durante questo primo anno di lavoro (che ufficialmente è di prova per gli allievi, in realtà lo è per il corso stesso) sono stati assai vari e non sempre legati da consequenzialità logica o storica. L’idea base essendo quella di lasciar quanto più possibile campo libero all’iniziativa dei partecipanti (tra i quali, naturalmente, anche il ‘docente’), sulle prime le proposte di lavoro si sono accavallate alla rinfusa e gli itinerari battuti molto spesso si sono rivelati a fondo cieco: cosí alcuni tentativi di imitare strutture e procedimenti musicali sistematicamente assai evoluti (Bach, sonata classica, dodecafonia schönberghiana ecc.). La mancanza di un indirizzo preconcetto ha forse dato in certi momenti l’impressione che si stesse perdendo tempo. Meglio tuttavia un po’ di tempo perso nella definizione autonoma (anche se sorvegliata) di una scelta, che non i lunghi anni spesi (e forse persi) nell’apprendimento di qualcosa che altri hanno scelto. A poco a poco tuttavia, riconosciuti i vicoli ciechi (ciechi, s’intende, per l’interesse del singolo), ricondotti anche i problemi entro l’orizzonte tecnico di ciascuno, si sono venute delimitando due aree preferenziali, su cui si è concentrata l’attenzione dei partecipanti: la musica tardo-medievale –in particolare il Minnesang e il Trecento italiano (Codice Squarcialupi)− e lo strutturalismo dei giorni nostri, da Bartók alla serialità integrale e alla tecnica dei gruppi. I partecipanti con scarse o inesistenti cognizioni tecniche hanno cosí sperimentato, attraverso la mediazione archeologica, un tipo, ancorché piuttosto semplice, di attività compositiva: non l’esercizio astrattamente grammaticale di una lingua imposta, ma concreta produzione di senso musicale entro coordinate linguistiche liberamente scelte. Si è in tal modo evitata la tradizionale separazione (quando non contrapposizione) delle dimensioni organizzative della musica (verticale = armonia, orizzontale-lineare = melodia, orizzontale-polilineare = contrappunto, globale = forma), restituendo al comportamento produttivo quell’unità organica che peraltro è il naturale corrispondente di un’attività organicamente percettiva. Alla coscienza dell’organicità di ambedue i momenti, produttivo e percettivo, si è cercato di giungere attraverso un paziente lavoro analitico, rivolto soprattutto ai modelli scelti per l’esercizio pratico della composizione: da un lato i modelli medievali, dall’altro esempi di tecnica strutturale da Bartók a Stockhausen. Sporadicamente sono stati analizzati esempi tolti dall’area linguistica ‘tonale’ (Schubert, Mahler). Circa i metodi e di analisi e di sperimentazione compositiva, ha prevalso, dopo tentativi in varie direzioni, un indirizzo dinamico-trasformazionale piuttosto che statico-strutturale. Ciò tuttavia senza pregiudizio dell’autonomia di ogni singola ricerca, di ogni singolo esperimento compositivo. Si è deliberatamente evitata una precettistica (grammaticale, sintattica, formale) che non fosse immediatamente dedotta dall’esame di oggetti storici, antichi o recenti. Caso per caso i criteri di organizzazione dei suoni, oggettivamente validi nella loro collocazione storica, sono stati assunti come del tutto arbitrari negli esperimenti di composizione condotti entro particolari aree sistematiche (linguistiche). Cosí la tradizionale proibizione di quinte e ottave consecutive, come anche il divieto di ottava per i lavori dodecafonici sono stati analizzati in quanto convenzioni negative (interdizioni) definite all’interno di spazi semiologici privilegiati dalla nostra cultura; se ne è tuttavia tenuto conto soltanto nel caso in cui le coordinate tecniche dell’esperimento in questione cadevano effettivamente nell’area di interdizione, non quindi nel caso di contrappunti a due di impostazione più o meno arsnovistica e neppure (relativamente al divieto di ottava) in alcuni esperimenti di stockhauseniana ‘Gruppentechnik’. L’arbitraria scelta degli ambiti sistematici (linguistici) e, conseguentemente, delle relative norme di comportamento, hanno spesso reso difficile un’esatta delimitazione dell’errore. La correzione, salvo i casi di flagrante incoerenza, è stata perciò intesa e praticata più come un tentativo di migliorare il rendimento informativo di una certa struttura, di un certo procedimento, che non come sostituzione dell’ ‘errato’ con il ‘giusto’. Ogni proposta di cambiamento è stata comunque più o meno ampiamente discussa, talora anche respinta o momentaneamente accantonata. Tra le modalità di lavoro, la più accetta è stata la discussione collettiva sia su esempi storici che su dati elaborati dai singoli partecipanti. È stata tentata più volte, e con risultati soddisfacenti, anche una pratica compositiva estemporanea (per esempio alla lavagna) e di gruppo, sia su materiali codificati (ars nova, Minnesang) che su materiali non codificati (gruppi, suoni-rumore, musica gestuale).

Assiduità, massimo rendimento

[A1103] Il Corso sperimentale di composizione si è svolto con regolarità (dodici ore settimanali, suddivise in tre pomeriggi) a partire dal mese di dicembre (1972). Ad esso si sono affiancati successivamente un Corso di storia della musica (tenuto da Carlo Marinelli) e un Corso di lettura al pianoforte (tenuto da Flavio Benedetti-Michelangeli). A parte le defezioni di cui si è detto, cui un’altra se ne è aggiunta, inspiegabile, negli ultimi mesi, i partecipanti si sono attenuti, per quanto riguarda il corso di composizione, a una frequenza media di due pomeriggi la settimana. Alcuni hanno fatto brevi periodi di assenza (viaggi, soprattutto gli stranieri, momenti di «crisi» ecc.), altri hanno dimostrato un’assiduità superiore alla media. Il rendimento di ognuno (o meglio il rendimento del corso nei loro confronti) è assai difficilmente valutabile, dato il diverso grado di dimestichezza con la musica, dato anche il diverso interessamento alla problematica specifica della composizione (per alcuni l’argomento principale è stata l’analisi). Ritengo comunque che tutti abbiano reso il massimo, in relazione al tempo che hanno potuto o creduto di dover dedicare alla musica. Quanto a me, non posso che addurre come sintomatici il sempre crescente interesse per questo tipo di attività collettiva e multilaterale, e la convinzione che solo dal movimento, dalla circolazione dei problemi, e non dalla loro macerazione privata, potrà evolversi una nuova condizione del ‘far musica’.

Dodici partecipanti (più ospiti)

[A1102] Durante i primi mesi di studio, a causa di un certo numero di ritiri (dovuti o a impegni sopraggiunti o a una migliore valutazione dell’entità di lavoro da svolgere), i partecipanti si sono ridotti a dodici effettivamente frequentanti, più alcuni ospiti occasionali, sia interni che esterni al conservatorio. Tra questi ultimi, alcuni compositori, didatti ed esecutori, di passaggio o residenti a Roma, ai quali va il nostro sentito ringraziamento per il tempo e il lavoro che ci hanno dedicato (Aldo Clementi, Franco Evangelisti, Jesús Villa Rojo, Sergio Cafaro, Paolo Castaldi, Gérard Grisey, Luca Lombardi). Il grado di preparazione specifica dei partecipanti regolari si è dimostrato estremamente vario, in relazione all’età, alla professione e al tipo di attività musicale svolto in precedenza. Per due di essi (stranieri), che già avevano studiato composizione, il corso ha avuto finalità di aggiornamento sui problemi tecnici contemporanei, si è configurato cioè come una sorta di corso di perfezionamento; altri, diplomati per esempio in pianoforte, hanno chiesto di essere informati sui fondamenti teorici del discorso musicale; altri ancora, privi quasi del tutto di un’esperienza pratica della musica, ancorché ad essa interessati culturalmente, hanno ricercato un approccio analitico-strutturale o addirittura hanno orientato il loro studio in senso analitico-percettivo, lasciando ampio margine alle considerazioni psicologiche, sociologiche, comunicazionali. C’è anche chi ha inteso la sperimentazione nel senso che più le è proprio; sperimentazione cioè, non tanto di nuovi metodi didattici (come è nell’interpretazione ufficiale del corso), ma anche e soprattutto di nuovi modi organizzativi della materia sonora: a costoro non è stato chiesto un rendiconto sugli studi musicali compiuti, ma si è cercato di muovere esattamente dal punto su cui erano concentrati al momento i loro interessi musicali, per esempio da John Cage. Molto probabilmente nessuno o pochissimi (due o tre) dei partecipanti coltiveranno la pratica compositiva oltre i limiti di un’attività collaterale, in qualche caso anche di semplice diletto; per alcuni tuttavia è da credere che le indagini sulla comunicazione musi¬cale, qui condotte, non resteranno senza influsso sulla loro attività futura, quando addirittura non dovessero porsi al centro di un orientamento di studi volto, più che alla composizione, alla collocazione della musica nel quadro culturale della società. Circa la qualificazione non specifica dei partecipanti, si è osservata, a parte la ovvia prevalenza degli studenti (medie superiori, università), una accentuata promiscuità di indirizzi di lavoro: teologia, industria, impiego ecc.

I.1 Il ‘Corso sperimentale di composizione’ (Relazione su un anno di attività)

[A1101] È stato istituito per l’anno scolastico 1972-73, presso il Conservatorio di Santa Cecilia in Roma, il Corso sperimentale di composizione, al quale sono stati ammessi, dopo una formale prova di idoneità, tutti coloro che ne avevano fatto richiesta, cioè sedici candidati. Si ricorda che il Corso sperimentale di composizione, approvato con decreto ministeriale del 18 novembre 1971, prefigura, limitatamente allo studio della composizione, il quinquennio normale successivo alla scuola dell’obbligo, omologo sia al tradizionale corso inferiore-medio del conservatorio, sia al quinquennio medio-superiore di tutti gli altri istituti scolastici (avente quindi come naturale prosecuzione i corsi superiori sia del conservatorio che dell’università).

APPENDICE I - Quattro relazioni

I.1 Il ‘Corso sperimentale di composizione’ (Relazione su un anno di attività)

I.2 Scuola, musica, ragazzi
(Un semestre di sperimentazioni didattico-pedagogiche con Kinder-Musik)
1. Musica e ragazzi – dodici trasmissioni radiofoniche per le scuole medie 
(gennaio-marzo 1973).
2. Sperimentazione a Bologna (21-22 maggio 1973).
3. Firenze, 26 giugno 1973: pomeriggio illustrativo di Kinder-Musik

I.3 Sperimentazione musicale nelle scuole.
Corso di aggiornamento per insegnanti e animatori delle scuole elementari e medie (Teatro Stabile di Roma, aprile 1973, in collaborazione con Giampiero Cane)

I.4 Incontri di musica e pubblico (Rai, febbraio-giugno 1973)

giovedì 20 novembre 2008

339. Il luogo di tutti i significati?

Posta l’esistenza del ‘significato’, non può non esistere il luogo di tutti i significati (reali e possibili). L’antico vizio della metafisica. Dio in veste semiologica.

338. Non un sistema di segni

La musique est peut-être un système d’objets et de relations entre ces objets, et non pas un système de signes, du moins tant que l’on donne au terme ‘signe’ son sens habituel, qui relève du couple ‘signifiant-signifié’.

337. Tentativo di sopravvivenza

Il me semble que la semiologie, pour subsister, doit essayer de s’élargir, jusqu'à occuper la place de la philosophie et se proposer comme le signifiant, dont le signifié est le monde.

336. Semantica musicale

A proposito della semantica musicale.

La musica è un sistema di segni (mantenendo per ‘segno’ la definizione classicamente dicotomica di unione di significante e significato)? La musica, in quanto segno, significa? E se si, che cosa? La musica significa se stessa? ecc.

Il problema del significato musicale si dà solamente nell’intersezione tra musica e linguistica, è cioè un problema che nasce quando si applica alla musica uno strumento costruito per un diverso campo di indagine. Arbitrario l’uso di questo strumento, fittizi i problemi che ne derivano, primo fra tutti quello della significazione. Nessuno si domanda che cosa significhi una partita di calcio (anche se sulle sue connotazioni è lecito discutere), nessuno che voglia dire un’equazione algebrica, una proporzione architettonica. Essenziale è che la mente ne riconosca, sappia ripercorrerne, le relazioni interne, e in più ne riconosca la collocazione entro la griglia delle funzioni socio-culturali. Nel caso della musica è del pari necessario e sufficiente che l’individuo e la collettività sappiano utilizzarne mentalmente le strutture (la capiscano, cioè) e abbiano coscienza del privilegio culturale che la nostra civiltà le ha accordato. Inutile domandarsi che cosa la musica significhi al di là di questo atto di comprensione, anche se sono manifeste alcune induzioni comportamentali (emozionali) che farebbero pensare a una trasmissione di ‘significato’ (riso, pianto, motilità ecc.).

Più interessante invece domandarsi se, anche nei casi di effettiva trasmissione di significato (per esempio nel linguaggio verbale), l’induzione di certi comportamenti sia interamente imputabile ad essa.

Problemi interni all’unione musica-società (ma non all’unione musica-linguistica): che uso il singolo e la società fanno della musica? come la connotano? per quale pressione selettiva la nostra cultura l’ha privilegiata? perché lo ha fatto nella tal forma o talaltra? ecc.

335. Metafisica del reale

Obiezione frequente: perché porre tra sé e il reale sempre lo schermo di una teoria, perché non esperire il mondo direttamente, senza la mediazione di un sistema?

Non credo al contatto diretto tra noi e le cose. Chi ne afferma la possibilità ha anche lui una teoria, solo che non se ne rende conto. Se non altro tiene fede a una metafisica del reale, che esisterebbe e avrebbe un ‘senso’ al di là di tutte le griglie analitiche, quelle che sole possono renderlo significante. E anche questa è una teoria, seppure scarsamente difendibile.

334. Ambiguità - pertinenza

Un sistema analitico che non renda conto del fatto che l’ambiguità (o polivocità) è pertinente al segno musicale, non è esso stesso pertinente. Mentre l’ambiguità del discorso musicale è conseguenza del suo spessore parametrico (i singoli parametri possono articolare diversamente il discorso, statuendovi una sorta di opposizione interna, vedi Brahms), la non pertinenza dei discorsi analitici fondati unicamente sulla parola consegue dalla unidimensionalità di quest’ultima (quando, s’intende, non è ‘poetica’). Ma allora, perché discorrere di musica, perché non limitarsi alla lettura musicale della partitura? Risposta: non certo per crearne il doppione analitico, ma per interrogarla su ciò che essa non dice apertamente, per provocarla. Nello spazio tra la musica e la sua provocazione analitica si dà produzione di significato.

333. Univoca oppure polivoca

Una partitura ‘normale’ è univoca (o quasi) dal punto di vista della composizione, polivoca (per infinite possibili letture) dal punto di vista dell’interpretazione.

Una partitura di musica visiva è polivoca (per infinite possibili letture) dal punto di vista della composizione, ma non ammette nessuna soluzione sul piano interpretativo.

332. Pseudoproblema

Il problema del significato musicale è uno pseudoproblema. Noi capiamo la musica nel momento in cui sappiamo utilizzarne mentalmente strutture e funzioni interne. Il vero problema è il riconoscimento delle funzioni esterne della musica, quelle che la definiscono come insieme di operazioni nell’ecosistema società. La semiologia musicale ha il suo fuoco nella pragmatica.

331. Funzione inessenziale

Sono convinto che molte operazioni logiche compiute per mezzo della parola non implichino per nulla la funzione significante. Che quindi potrebbe essere una delle possibili funzioni del segno, pertanto inessenziale alla sua definizione.

330. Significato non necessario

Esistono nelle società umane molti sistemi comunicazionali per descrivere i quali non è necessario ricorrere al concetto di significato. La musica è tra questi. Anche la matematica.

329. Aha-Erlebnis

Quando ascolto un parlato radiofonico da una stazione molto disturbata, ogni tanto provo un appena percettibile trasalimento: «Ah, ecco!» (Aha-Erlebnis).

Quando ascolto una trasmissione musicale da una stazione molto disturbata, ogni tanto provo un appena percettibile trasalimento: «Ah, ecco!» (Aha-Erlebnis).

Per qualche istante capisco – o credo di capire. Ma che cosa, un significato o il funzionamento di una struttura o una volta l’uno e una volta l’altro?

Per omologare logicamente due esperienze che ci si presentano come del tutto simili, il semiologo cerca disperatamente il significato della musica.

Varrebbe la pena di tentare l’opposto, di eliminare cioè il significato dalla definizione generale di ‘segno’, mantenendolo al sottoinsieme ‘segno verbale’, come elemento distintivo di livello inferiore rispetto a quello a cui si produce il predetto Aha-Erlebnis.

328. So come funziona

Non so che cosa significhi la musica, ma so come funziona.

327. Segno come nodo di relazioni

È possibile una definizione del segno che non implichi i due versanti del significante e del significato?

Primo approccio: il segno è un oggetto che noi utilizziamo non per le sue proprie caratteristiche ma per le relazioni che esso intrattiene con altri oggetti della stessa natura.

326. Significato e possibilità

Il significato di una partitura è inversamente proporzionale al numero delle possibili realizzazioni sul piano della composizione. Quando tale numero tende all’infinito, il significato tende a zero.

325. Visivo vs tradizionale

Molte partiture di oggi si danno come musica visiva (music to read).

Si obietta (Nattiez) che non gli compete la qualifica di musica, perché non ne hanno la natura fisica, non sono cioè fatte di suoni.

Si contro-obietta che anche una partitura ‘tradizionale’, finché non viene eseguita è musica ‘to read’ e, mancando di materialità sonora, non sarebbe musica, secondo Nattiez. Vero è che la partitura può considerarsi come un sistema segnico avente come significato la musica che gli corrisponde. Ma anche a una partitura ‘visiva’ è senz’altro lecito associare, mentalmente o anche materialmente, un insieme di eventi sonori. Solo che, per una partitura tradizionale tale significato è, dal punto di vista della composizione, univoco o per lo meno rappresentato da un campo assai limitato di possibilità (gli infiniti modi di realizzare una partitura sono di pertinenza dell’interpretazione, non della composizione); diversamente per una partitura di tipo visivo, dove i modi di realizzazione (mentali o effettivi) si collocano sul piano compositivo, non interpretativo, e sono talmente numerosi da potersi considerare praticamente infiniti. Infiniti sono quindi i significati corrispondenti all’unico significante, rappresentato dalla partitura. Il che equivale a nessun significato. Con ciò non si vuole affermare che una partitura visiva non abbia alcun significato, ma solo che non ce l’ha du côté de la musique. Si concorda quindi, seppure secondariamente, con Nattiez.

mercoledì 19 novembre 2008

In margine a Primo Congresso internazionale di semiotica musicale, Beograd, 17-21 ottobre 1973

324. Ripetizione

La ripetizione come costituente della significazione: il comportamento ripetitivo va indagato in ogni punto della comunicazione musicale: nell’insieme dei codici e delle norme d’impiego, a tutti i livelli organizzativi del messaggio, nei disturbi lungo i canali di trasmissione, nell’utilizzazione mentale all’arrivo (per esempio nelle sequenze paradigmatiche o metaforiche in cui il messaggio viene inserito), nella pluralizzazione sincronica (socializzazione) del messaggio indirizzato a una pluralità di riceventi, nella pluralizzazione diacronica (culturale, tradizionale) del messaggio destinato a integrale o parziale ripetizione, nelle strutture e funzioni degli insiemi contestuali al messaggio.

323. Originaria ecologia dell’evento

Sociologicamente: l’evento musicale perde quasi immediatamente la sua caratteristica, appunto, di evento, in quanto si dà come emergenza ma anche come traccia culturale; come modificazione imprevista e imprevedibile (mutazione), ma anche subito iscritta e integrata nel processo evolutivo della cultura. Anche l’evento musicale, quindi, si ‘banalizza’ nella cultura, a meno che ‘cultura’ non significhi proprio l’opposto: memorizzazione dell’itinerario culturale di un sistema al fine di permettere la ricostruzione, punto per punto, dell’originaria ecologia dell’evento, la conservazione della sua improbabilità.

322. Semplicità - complessità

La complessità di un sistema sta in rapporto inverso con la sua ridondanza e diretto con il coefficiente evolutivo (capacità d’immagazzinare e organizzare l’errore). Nei sistemi più semplici si ha la quasi identità di messaggio e codice (vedi regola dell’ottava e struttura cadenzale del medio Settecento). Resistenza dei sistemi a basso coefficiente di complessità (e tendenti all’omeostasi). Evolvibilità ma anche labilità dei sistemi più complessi (vedi rapida distruzione del sistema tonale dal Tristano in poi).

321. Differenza, traccia, memoria

Traccia – differenza – produzione di senso. Traccia, cioè memoria. Memoria cioè riproducibilità: senza riproducibilità non si dà senso. L’occupazione della musica da parte del rumore è la perdita totale della differenza, della traccia, della memoria. È la morte.

320. Cambiamento

Ogni vero cambiamento è figlio della conservazione e del caos.

319. Annulamento?

La musica occidentale ha forse subito un processo di feed-back positivo, che l’ha condotta all’autodistruzione, ovvero alla necessità di passare a un altro livello di organizzazione (Aufhebung)?

318. Sistemi chiusi

Le système de Webern et, a fortiori, les systèmes sériels, en tant qu'ils supposent l’homogénéité des éléments, sont, intentionellement, des systèmes clos. Même Stockhausen, dans l’œuvre théorique de sa jeunesse, tendait à considérer la musique de cette façon (Wilden, p. 57).

317. Processo omeogenetico

Le musicien seriel songeait à un processus homéogénétique («remplacement d’un état synchronique par un autre état synchronique auquel ne s’applique aucune valeur de développement dialectique» – Wilden, p. 57).

316. Processo di organizzazione crescente

«Mais alors que dans l’évolution et dans l’histoire on peut retrouver un processus d’organisation croissante, aucun processus semblable n’est évident dans l’évolution des langues» (Wilden, p. 57).

Nell’evoluzione del sistema musicale d’Occidente mi sembra invece possibile riconoscere un processo di organizzazione crescente, almeno per qualche parametro, come l’aggregazione verticale. È lecito parlare qui di morfogenesi, ovvero la totalità informativa di un tale sistema è legata a limiti di utilizzazione cerebrale, è cioè da considerarsi morfostatica?

315. Riimparare a imparare

Il sistema tonale ha, grosso modo, percorso un itinerario omeoretico, sfociante nell’omeostasi (dopodiché l’entropia ha riacquistato i suoi diritti). Si tratta ora, per la musica, di riimparare a imparare. Musica-scuola.

314. Sopravvivenza

Il problema della sopravvivenza (di una società, di una lingua, della musica) è il problema di trasformare un processo omeoretico in uno morfogenetico.

313. Metafore di processi

Fuga di Bach = metafora di un processo omeoretico (di sviluppo)?

Sonata di Beethoven = metafora di un processo morfogenetico (evolutivo)?

312. Morfostasi

Quale sarebbe in musica un esempio di morfostasi (p. 52): forse una composizione seriale integrale? una di Aldo Clementi?

sabato 15 novembre 2008

311. Assimilabilità a un processo morfogenetico

L’evoluzione di un sistema musicale nel suo complesso (per esempio il sistema tonale dai figli di Bach a Mahler) è assimilabile a un processo morfogenetico (nel senso esposto da Wilden, pp. 52 sgg.).

Sono del pari assimilabili a un tale processo: a) una fuga di Bach, b) una sonata di Beethoven, c) una sonata di Schubert, d) il III atto del Tristano, e) una sinfonia di Mahler, f) una composizione dodecafonica di Schönberg, g) una composizione di Webern, h) una composizione di Stockhausen, i) John Cage?

310. Informazione e ridondanza

Secondo Atlan (pp. 29 sgg.) la variazione della quantità d’informazione H è uguale alla somma di due funzioni, f1(t) e f2(t), l’una esprimente il decrescere della ridondanza, l’altra il decrescere dell’informazione massima (quale si avrebbe senza ridondanza). L’informazione aumenterebbe cioè col decrescere della ridondanza, quindi decrescerebbe per l’aumento di entropia (positiva).

Può applicarsi questo genere di considerazioni a una struttura comunicazionale eminentemente ‘culturale’, come il sistema tonale? Empiricamente:

1. La ridondanza decresce da Mozart a Mahler, ma in pari tempo decresce la quantità massima di informazione (per effetto della crescente ambiguità ‘distruttrice’). Può forse localizzarsi intorno agli anni tra la maturità di Beethoven e quella di Wagner il momento di massimo rendimento informazionale del sistema?

2. Il sistema dodecafonico inizia con ridondanza praticamente nulla (per definizione): la sua curva evolutiva non può essere che l’espressione di una variabile monotonamente decrescente.

3. Il sistema tonale postbachiano (il sistema armonico fondato sulla regola dell’ottava) possiede un’alta ridondanza iniziale (si pensi al tasso di ripetizione a tutti i livelli in una composizione del Settecento maturo); aveva cioè una riserva informazionale da utilizzare prima di essere invaso dal ‘rumore’. Di qui la sua vita (relativamente) lunga, di qui lo Aufschwung di circa un secolo e la ripidità della curva discendente.

4. La musica, analogamente all’individuo ovvero alla specie biologica, è interpretabile, almeno in prima approssimazione, come un sistema autoorganizzativo o meglio come una pluralità, una popolazione di sistemi autoorganizzativi, per tali intendendo dei sistemi –non che si evolvono senza scambi d’informazione con l’ambiente, ma – che utilizzano le perturbazioni dell’ambiente, il suo ‘rumore’ come fattore organizzativo?

5. Il passaggio da Bach allo stile galante è segnato da un improvviso accrescimento della ridondanza. Un cosciente regresso come rincorsa per un nuovo e diverso progresso.

6. È pensabile qualcosa di simile nell’attuale situazione di totale esaurimento delle scorte di ridondanza?

309. Ricondurre la dialettica sistema-evento

Anche l’ipostasi dell’alea non basta a vanificare l’ipotesi autogenerativa. È sufficiente infatti definire il ‘sistema’ in modo da comprendervi l’evento, basta aprire il razionale all’irrazionalità dell’alea, per ricadere nella metafisica dell’uno-tutto, della teoria onnicomprensiva. Per contro il ricondurre la dialettica sistema-evento ai vari livelli analitici del discorso ci preserva dall’indebitamento metafisico e nello stesso tempo rende concretamente imprevedibile, cioè produttivo, il discorso.

308. Ammettiamo la segmentazione

Per evitare il determinismo non occorre invocare l’evento: basta ammettere come metodologicamente conveniente una segmentazione del reale in sistemi esterni l’uno all’altro, ma capaci di reciproca interazione.

307. Cautela nel trasferire

Occorre molta cautela nel trasferire concetti costitutivi del discorso fisico, biologico, psicanalitico, nel discorso culturale, sociologico, antropologico. I sistemi relativi alle cosiddette scienze umane non sono strutturalmente omologhi a quelli delle scienze naturali (tra cui si annovera la psicanalisi).

306. Trasformazioni non ancora inventariate

Una fuga di Bach (una sonata beethoveniana) è un processo autogenerativo?

Che cosa vi si potrebbe riconoscere come ‘evento’, esterno quindi a un’evoluzione autonoma?

Ogni trasformazione non ancora inventariata può dirsi una mutazione, un evento? Come calcolare la probabilità (ovvero affermare l’improbabilità) del suo verificarsi?

305. Tutto ciò che non è ricavabile dalla logica interna del sistema

Tuttavia il concetto di evento, opportunamente relativizzato, può servire a descrivere la meccanica evolutiva di un qualsiasi sistema, considerato, provvisoriamente e per ipotesi metodologica, come isolato. Si definisce cioè come evento tutto ciò che non è ricavabile dalla logica interna del sistema esaminato, e lo si oppone dialetticamente a quella logica. È chiaro anche qui che il momento dialettico appartiene al Begriff, alla cosa cioè in quanto soggetto del Begriff. Il progressivo allargamento della sfera concettuale respinge sempre più all’esterno il concetto di evento. La domanda suona ancora e sempre: esiste una sfera concettuale di diametro finito, al di là della quale si producono ‘eventi’ metalogici?

304. Sull'autogenerazione

Processi autogenerativi: producono in se stessi gli elementi conflittuali da cui procede la loro evoluzione. Morin li nega in favore di una dialettica tra autogenerativo e eterogenerativo e invoca una «théorie systémo-événe-mentielle» transdisciplinare. Ma il concetto di ‘etero’ è sempre subordinato al sistema preso in considerazione. Basta sostituire a questo un altro sistema che includa quel’ ‘etero’ che il primo escludeva, e tutto si riconduce all’autogenerazione. Esiste un ‘etero’ rispetto a tutti i sistemi conoscitivi possibili? I fisici lo affermano e anche gli psicanalisti. In ciò che chiamiamo cultura esiste l’evento esterno a tutti i possibili sistemi?

303. Privilegio esclusivo?

Dalla ‘natura’ alla ‘cultura': un evento?
Perché questo privilegio per l’uomo?
Il cavallo non è un evento?

302. Inconoscibilità

Trattare l’evento per quello che è: costituzionalmente inconoscibile. Evitare la confusione con il praticamente inconoscibile.

301. Mutazione, selezione, ambiente

La mutazione genetica è probabilmente un evento (e come tale inconoscibile – in quanto mutazione e non in quanto entità mutata). La selezione ambientale non è un prodotto di eventi ma solo di circostanze troppo numerose per essere inventariate. In linea teorica l’ambiente è conoscibile. (Un ambiente lo si può costruire punto per punto. Una mutazione singola no, anche se si può aumentare artificialmente la probabilità del suo verificarsi).

300. Mutazione culturale

La mutazione culturale, la creazione, il ‘mai prima detto': non sappiamo a che livello si collochi, se a quello di ricombinazione di dati già acquisiti dalla coscienza o a livello di emergenza dell’inconscio, nel qual caso ci sbarrerebbe nuovamente il cammino il principio di indeterminazione, o meglio il suo equivalente psicanalitico.

299. Mutazione genetica

La mutazione genetica: non sappiamo se sia un evento, se il ricercarne la causa ci faccia imbattere nel principio di indeterminazione, se cioè la mutazione abbia anch’essa la proprietà di contraddire i principî logici della conoscenza classica.

298. Ciò che non è un evento

Un incontro fortuito non è un evento, non più che il ritrovarsi nel letto la propria moglie. Finora il secondo caso è semplicemente un poco più probabile.

297. Grandi numeri

Nel campo del conoscibile macroscopico non si danno eventi, ma solo avvenimenti più o meno rari, il cui verificarsi è legato a una tale quantità di condizioni che il descriverle tutte, oltreché praticamente impossibile, sarebbe estremamente antieconomico. Soccorrono allora le leggi dei grandi numeri, che, se tolgono ‘dignità’ all’avvenimento singolo, ci consentono però di utilizzare con buon rendimento un grande numero di avvenimenti.

296. Conoscere

L’alea, l’indeterminato è spesso uno pseudoconcetto, il luogo mentale per tutto ciò che non sappiamo analizzare. Parlare di evento è, in certi casi, antiscientifico. L’indeterminazione di un evento macroscopico è nel soggetto che lo osserva (ignoranza dei parametri e del come essi variano nel tempo); a livello subatomico è nell’oggetto osservato, o meglio nell’oggettività del rapporto soggetto-oggetto, nell’atto cioè dell’osservare, del conoscere.

Il vero evento è il conoscere.

295. Dialettica

Dialettica: determinazione-indeterminazione. Dialettica, appunto, che implica un piano discorsivo. A un altro livello è possibile che l’uno dei due termini si riduca all’altro.

294. Evento e organizzazione

Evento e organizzazione non sono termini antitetici. Evento e organizzazione si appartengono. Si distinguono solo nel discorso comune. Infatti la parola distingue, si, ma all’interno di un discorso. È sempre possibile immaginare un discorso in cui due termini, antitetici a un certo livello, cessino di esserlo.

293. Gradi di probabilità

L’improbabile ha la stessa dignità del probabile, cosí come i numeri non costituiscono una scala di valori.

venerdì 14 novembre 2008

292. L'evento

Ipotesi dell’evento. Ciò che in un sistema è evento (imprevedibile, improbabile, acausale ecc.) in un altro può non esserlo.

L’evento è per definizione improbabile; cioè si verifica poche volte su un numero molto grande di casi invarianti. È però del tutto naturale che si verifichi. È sempre possibile scegliere un insieme (un sistema) sufficientemente grande perché l’improbabile diventi certezza.

L’evento è di per sé irrilevante come il ‘non evento’.

Esso modifica, è vero, il sistema –sotto certe condizioni– ma il fatto che i sistemi si trasformino, si modifichino, è una loro naturale proprietà e come tale conviene indagarla e descriverla, senza per questo assegnare dei valori che non siano relativi ai sistemi stessi.

In margine a Communications n. 18 (L’événement), Paris 1972

291. Jakobson

Secondo Jakobson nell’enunciato poetico i riferimenti paradigmatici sono (psicologicamente) funzionanti nel contesto sintagmatico grazie alla memoria. Il passato (iscritto nella memoria) è uno dei due grandi produttori di senso; l’altro è il futuro (luogo di tutte le intenzionalità). Il presente è il senso.

giovedì 13 novembre 2008

290. Problema inaudito

«L’œuvre inouïe n’existe qu'à titre de problème, non de realité» (Francès, p. 389).

289. Innocenza ed erudizione

«Un certain degré de naïveté peut être obtenu par l’érudition» (Francès, p. 389).

288. Società, dato, oggetto estetico

«Seule la société confère au donné la qualification esthétique» (Francès, p. 382).

Piccola correzione:

Seule la société confère au donné la qualification d’objet esthétique.

287. Metafora del caos

Una musica senza articolazione grammaticale, senza struttura linguistica riconoscibile, per il fatto stesso di darsi come comunicazione sprovvista di codici e di regole, costituisce una sorta di metafora, immediatamente riconosciuta, del caos. Di qui l’effetto aurorale, prelogico, prebiologico, di molta musica di oggi.

286. Il quadro dei rapporti più adatti

L’orecchio e più ancora il cervello hanno delle capacità di estrapolazione e d’interpolazione che gli permettono di collocare un oggetto sonoro nel quadro più adatto alla sua utilizzazione comunicazionale (il quadro dei rapporti naturali, dei rapporti sistematici, delle convenzioni retoriche, dei rapporti di analogia, di comportamento, dei gesti inventati ecc.) Per Helmholtz c’è un giudizio «tonale» (naturale, secondo lui) degli intervalli a dispetto del loro temperamento. Questo perché nella musica ‘tradizionale’ l’accomodamento auditivo avviene in direzione del quadro dei rapporti diatonici ('naturali’); vi può essere però anche un accomodamento in direzione della razionalità dei dodici suoni equidistanti (vedi l’ascolto di Reger). Il rapporto con le leggi ‘naturali’ si conserva tuttavia tenacemente e conviene tenerne conto. Il ‘sapore’ di certe modalità europee o extraeuropee è determinato da questo rapporto ed esiste, sia che vi sia o non vi sia abitudine. Il sapore non è la stessa cosa che il gusto.

285. Fisica e logica

Non si nega che le caratteristiche fisiche del fenomeno acustico influiscano sulla percezione, si afferma piuttosto che l’ordine logico che gli uomini hanno dato alla esperienza musicale non ha sempre privilegiato queste caratteristiche (nel nostro sistema forse più che in altri).

284. Dissonanza oggi

La dissonanza è oggi equivalente alla consonanza, ma non sul piano della qualità sensibile, bensì nella coscienza percettiva degli individui educati ad essa.

283. Insieme come metafora

Una volta stabilito un certo sistema di rapporti arbitrari, un insieme di questo sistema può costituirsi a metafora di un insieme che gli corrisponda in un altro sistema, anche se non arbitrario (si potrebbero spiegare cosí i molti ‘significati’ che per convenzione o per libera associazione si attribuiscono alla musica).

282. Velocità melodica

Una ‘linea’ melodica si ‘muove’ con una velocità media data dal numero medio di stati frequenziali nell’unità di tempo (definizione analoga a quella di velocità nello spazio).

281. Circonfusa aura

Come intorno alle parole, cosí anche intorno agli elementi musicali si circonfonde un’aura di significazioni secondarie (connotazioni), non però identificabili con la significazione primaria delle une e degli altri.

280. Assai strano

Sarebbe assai strano studiare la circolazione dei messaggi nervosi interessanti la funzione alimentare, basandosi sui significati che i soggetti annettono agli stimoli connessi con quella funzione. Ovvero chiedere a dei giocatori di scacchi che ci informino sul loro gioco in termini emozionali o narrativi. Ovvero pretendere una descrizione della tavola pitagorica senza far ricorso al numero. O voler esaurire a parole un discorso musicale.

279. Né equivalente né confrontabile

Si parla spesso di impressioni vaghe suscitate dalla musica. Ma non è assolutamente detto che il significato delle parole impiegate per descrivere quelle impressioni sia equivalente o anche solo confrontabile con il ‘significato’ da noi utilizzato all’interno dell’esperienza musicale.

278. Ogni lettura del reale è cultura

Anche l’atteggiamento ‘obiettivo’ è frutto di predeterminazione culturale. Ogni lettura del reale è cultura. Forse la realtà stessa lo è.

277. Verticalità del pensiero e della musica

La perception totale se base sur une activité multiple du cerveau. On peut saisir le rapport du présent au passé même sans perdre le contact avec le nouveau présent. La pensée n’est pas linéaire, il en va de même pour la musique. Toutes les deux ont une verticalité. Plus que le langage verbal, la musique est peut-être un modèle de l’activité cerebrale. Étudier le fonctionnement d’un morceau de musique (ses structures par rapport à ses fonctions) c’est faire une experience de psychologie sociale et individuelle à la fois.

276. Armonia garante

Regolatrice (occulta) della nostra (di noi occidentali) percezione musicale sembra essere l’armonia, garante della giustezza, del rendimento, del senso, del valore estetico dei messaggi musicali. Schönberg non passa, non per scarsa pregnanza degli elementi melodici e ritmici, ma per l’inutilizzabilità delle differenze armoniche. Il corale dell’Histoire du soldat passa, non tanto in grazia della fruibilità della linea melodica, quanto per l’evidenza dei legami cadenzali, con i quali contrasta (generando momentaneo disorientamento percettivo) il disturbo armonico all’interno dei versetti.

mercoledì 12 novembre 2008

275. Metafora e metonimia

Ipotesi:
il significato verbale è una metafora
il significato musicale è una metonimia.

274. Survival value

Se è vero che i processi evolutivi sono regolati dal survival value, come mai l’evoluzione di alcuni sistemi semiotici (per esempio la musica) è talmente rapida da creare delle difficoltà pressoché insormontabili alla percezione? Tali sistemi (e tra essi la musica) costituirebbero attualmente un fenomeno di ipertelia?

273. Ipertrofia che va così lontana ...

«... ainsi, peu à peu, est née une véritable pensée musicale, dont la mobilité et la richesse combinatoires se sont développées pour elles-mêmes, se séparant, dans une certaine mesure du plan des réalités acoustiques. Seule la musique pouvait aller si loin sur le chemin de la conceptualisation, par une sorte d’hypertrophie de son activité symbolique» (Frances, p. 146).

Ipertelia in un processo evolutivo.

272. Valore associabile al dato culturale?

Perché si è determinato nella nostra società uno sviluppo (ipertelia) autonomo dei sistemi di comunicazione culturale, indipendentemente dal loro rendimento sociale? Questo rendimento è forse diverso da quello misurabile quantitativamente – per esempio sulla base di statistiche di fruizione? Esiste allora nella nostra società –e ha ancora senso la sua esistenza– un valore associabile al dato culturale, valore cioè metasociale, metastorico, metaantropico?

Dieu, n’est-il-pas mort?

271. Efficacia psicologica, efficacia sociale

La descrizione dell’evoluzione, poi dissoluzione del sistema tonale dovrebbe essere accompagnata dallo studio della sua efficacia sia dal punto di vista della psicologia dell’ascolto, sia sulla base della sua effettiva utilizzazione sociale.

270. Quale misura di ridondanza?

La ridondanza non è economicamente passiva: il funzionamento del nostro sistema percettivo la richiede in una certa misura. Quale misura? da che cosa determinata? antropologicamente costante o culturalmente variabile?

269. Sistema a ridondanza nulla

La dodecafonia: un sistema a ridondanza nulla (riguardo al regime frequenziale). Non si darebbe cioè nessuna informazione garantita, il sistema sarebbe labilissimo. Schönberg deve averlo avvertito intuitivamente, dal momento che ha largamente impiegato la ridondanza nei livelli organizzativi superiori.

268. Semplicità formali

Semplice, cioè fondata sul ‘riconosco e distinguo’ di un numero limitato di elementi e di relazioni tra essi. Ma la semplicità formale dell’espressione non coincide con la semplicità formale del contenuto (espressione e contenuto nel senso di Hielmslev).

267. Transculturazione

Se si può concordare con Francès che: «Musique et non-musique, la forme et l’informe, le beau et le laid ne peuvent se définir comme catégories esthétiques chez nombre d’auditeurs que par référence à ces integrations tonales, elles-mêmes issues de l’histoire de la pensée musicale en rapport avec d’autres séries sociales» (Francès, p. 98), si domanda tuttavia se è una conseguenza dell’acculturazione anche il bisogno di riferire ogni dato ricevuto a un sistema di relazioni, di trasformare la ricezione in percezione (ordinata, analizzabile, razionale). È possibile una transculturazione musicale verso sistemi non tonali? Quali sono le condizioni perché un sistema (arbitrario) possa provocare in un tempo ragionevolmente breve una transculturazione? (La dodecafonia per esempio non ci è riuscita). La relativa facilità con cui ‘comprendiamo’ musiche anche non europee parlerebbe a favore dell’universalità di alcuni tratti sistematici. È necessario che la ‘forma’ dei sistemi sia di tipo logico-sintattico (linguistico) o basta che sia sufficientemente semplice?

In margine a R. Francès, La Perception de la Musique, Paris 1972, 2a éd.

martedì 11 novembre 2008

266. Homo sapiens

Der Mensch kommt zu sich selbst.

Zu seiner biologischen Selbstheit.

Seine biologische Entwicklung hält nicht Schritt mit der Entwicklung seiner biologisch schon prädeterminierten Möglichkeiten.

Bis zur Erschöpfung des Homo sapiens gehört noch viel Zeit; wenig jedoch, gemessen an der Zeit, die eine biologische Spezies braucht um sich als solche herauszuarbeiten.

Die merkwürdige Mutationsmenge, durch die Homo sapiens entstanden ist, hat ein biologisches System erschaffen, das sich auszeichnet, nicht so sehr durch Adaptation an eine bestimmte wenn auch variable Umwelt, sondern durch Adaptabilität an unzählige noch nicht vorhandene, selbst unwahrscheinliche Situationen.

Homo sapiens bevorzugt Möglichkeitsformen.

Homo sapiens bevorzugt Potentielles, nicht Aktuelles.

Als Spezies wird er zu sich selbst gekommen sein, sich erfüllt haben, wenn all sein Potentielles aktuell geworden ist. Dazu ist noch Zeit.

Dann wird aber über ihn das Ende kommen.

Wenn bei ihm das intellektuelle Wissen eins wird mit dem biologischen (der biologische Informationsgehalt intellektuell begriffen wird –– Wissen mit Sein koinzidiert), dann ist es aus mit seiner Spezifizität, aus mit ihm als Spezies.

Aus mit ihm.

265. Pedagogia sussumibile nella composizione

Anche l’attività didattico-pedagogica, se riconosciuta come strutturante della società e non come.propedeutica ad essa, è sussumibile sotto il concetto allargato di ‘composizione': composizione di suoni e società in una fase particolarissima del processo di autoformazione. Ho lavorato, per esempio a Kinder-Musik essenzialmente da compositore e non da pedagogo. Kinder-Musik è il mio secondo tentativo di composizione integrale – il primo sono le Inquisizioni musicali, dove peraltro l’elemento ‘società’ non appare esplicitamente, mentre il terzo lo sto compiendo adesso con queste Inquisizioni musicali II.

264. Comporre situazioni - conoscere il proprio luogo nel mondo

Oggi si ‘compongono’ non più solo suoni (codificati o no) ma situazioni musicali comprensive di tutti gli elementi concorrenti: suoni, canali di comunicazione, individui, società. Forse ciò accadeva anche in passato, solo che la preminenza dell’organizzazione semiologica (linguistica) dei suoni obliterava in gran parte le funzioni sociali, cosicché si è giunti a parlare della musica (e della cultura in genere) come di un fatto sovrastrutturale. L’attuale sgretolamento dei sistemi semiologici ha messo allo scoperto (spesso per negazione) la sottostante matrice politico-sociale.

Ma chi compone oggi musica (e società)? La figura istituzionalizzata del compositore, colui cui la società ha demandato l’incarico di produrre il discorso musicale in cui essa dovrà riconoscersi, è oggi in evidente declino. Comporre musica è sempre meno un’attività specialistica e sempre più cosa di tutti (come già innumerevoli altre volte è stato), in quanto tutti sono partecipi del circuito comunicazionale la cui totalità si dice appunto ‘musica’. Ciò non esclude affatto: 1) il caso limite del sottoinsieme ridotto a un individuo, il compositore appunto; 2) la diversa utilizzabilità dei risultati dei processi compositivi, da ultimo la loro diversa qualità (possibilità di un’estetica); 3) la diversa portata informativa dei parametri in gioco, quindi, ancora una volta, la condizione-limite della musica ‘pura’. È cioè senz'altro pensabile il caso di un musicista ‘tradizionale’ che compone (o ritiene di comporre) soltanto suoni; solo che per essere ‘buon musicista’ dovrà sapere del luogo, piccolo ed estremo, assegnatogli nel mondo.

263. Esigenze divergenti

Molti dei partecipanti (musicisti, critici ecc.) si sono attribuiti la funzione di ‘apportatori di contenuto’, non quella di momentaneo nodo discorsivo, hanno cioè informato, catechizzato, criticato, contestato quasi che fosse la loro opinione a essere sollecitata e non il discorso. L’errore tuttavia non era in loro, ma nel progetto compositivo, risultante da un insieme di esigenze divergenti, non sufficientemente conosciute e analizzate in sede preventiva.

262. Identificazione degli errori

Errori di composizione: identificabili non in base a un insieme precostituito di regole, ma nel mancato costituirsi di funzioni, nella labilità delle strutture, nella scarsa circolazione del discorso.

261. Composizione di oggetti musicali

Il Convegno-festival sulla Nuova Musica negli anni cinquanta (Accademia Filarmonica Romana, 7-12 maggio 1973): una composizione di oggetti musicali, produttori e mediatori di strutture semiologico-musicali, ricettori, immagazzinatori, trasduttori, ridistributori di messaggi; in una parola composizione, cioè riconoscimento e creazione di strutture e funzioni discorsive tra elementi di un sottoinsieme della società.

260. Utile schema analitico

Le precedenti definizioni forniscono uno schema utile per l’analisi politica dell’esperienza musicale. Oim, per esempio, è in zona di pericolo ideologico; una partitura tradizionale contiene implicitamente indicazioni sociologiche (per esempio sull’ascoltatore coevo alla composizione); nell’esecuzione di una partitura ha grande peso la realtà degli insiemi nella cui intersezione essa si applica ecc.

259. Operazioni e mappe

Comporre = eseguire un insieme O di operazioni nell’intersezione degli insiemi reali o realmente possibili (e si parlerà di Or) o immaginari (e si parlerà di Oim): certi suoni, certe sorgenti sonore (in particolare esecutori), certi ricettori di suoni (in particolare ascoltatori).

Una partitura tradizionale è una mappa (assai approssimativa) di Oim (e non, come spesso si dice, solo un grafico dei rapporti tra i suoni).

Un’esecuzione della partitura è una mappa di Oim nell’intersezione degli insiemi reali o realmente possibili: certi suoni, certe sorgenti sonore, certi ricettori.

Un’improvvisazione (composizione improvvisata) è un Or.

Un nastro registrato (un disco) è una mappa biiettiva di O.

258. Composizione

Comporre non (solo) musica ma (anche) situazioni musicali.

257. ‘Reconnaissance des formes’: problemi

Approccio alla musica tramite la teoria della ‘reconnaissance des formes’.

Per esempio studio dei punti nodali nel riconoscimento di un tema (da Beethoven a Mahler), di un modello tematico (variazioni); studio del senso musicale (semantica) in rapporto al rafforzamento (per passaggi successivi) dei punti nodali; studio delle connotazioni semantiche definite dall’appartenenza di certi punti nodali e all’esperienza musicale e ad altra esperienza ovvero a modi comportamentali (l’aria del ‘catalogo’ e l’induzione di precise immagini comportamentali; più in generale ‘musica e sentimento’); studio della variabile t (funzione della memoria nella ‘Formgestaltung’ musicale); studio delle costanti di struttura nei linguaggi musicali in rapporto alle costanti biologiche (fisiologiche, etologiche) della specie umana; studio dell’incidenza della ‘reconnaissance des formes’ sui vari progetti elencati da Stefani (musica come ...: espressione, gioco, conoscenza, arte ecc.); studio dei nodi comunicazionali di un certo sistema (di un certo stile, di una certa opera) in rapporto ai nodi comunicazionali che definiscono una società; studio comparato di società (civiltà, culture) diverse attraverso la loro ‘mappa’ musicale; studio della storia della musica mediante l’applicazione di varie griglie nodali; studio delle variazioni di flusso per uno o più punti nodali (diacronia) e studio della configurazione dei punti nodali e dei relativi flussi informazionali in un certo istante (sincronia), questo all’interno di un’opera, di un gruppo di opere, di uno stile, di un ambito linguistico o sistematico, di una civiltà musicale; studio empirico della ‘reconnaissance des formes’ attraverso l’interpretazione delle immagini descritte verbalmente da ascoltatori non specialisti ecc.

V. L. Pimonow, Introduction à la bioinformatique, Paris 1969.

sabato 8 novembre 2008

256. Ipotesi di discorso, piuttosto che verità

Perché la fase didattica sia correttamente rappresentata nel processo autogenerativo della società occorre che essa sia chiaramente riconosciuta e distinta. Esempi di insufficiente chiarezza e improduttiva ibridazione con altri modi discorsivi: la critica musicale sui quotidiani, l’insegnamento confessionale o comunque indottrinante, l’ammonimento morale, la ‘volgarizzazione’ scientifica (salvo rare eccezioni), la letteratura educativa, i discorsi sulla funzione catartica della musica, i giochi (libri) istruttivi, le edizioni facilitate, le trascrizioni musicali a fine divulgativo, le vite romanzate, le trasmissioni radiotelevisive a quiz, le trasmissioni radiotelevisive non a quiz (la maggior parte), la didattica genitoriale (gravata da rapporti edipici), la didattica dei registri di cattedra, la didattica della cattedra universitaria, le dispense universitarie, la didattica musicale nei conservatori ecc.

Non si dice che essa, la fase didattica, debba presentarsi necessariamente allo stato puro, non possa cioè mescolarsi in varia misura ad altre fasi. È piuttosto la sua funzione −quella di mettere a disposizione ipotesi di discorso, non di statuire verità− che deve conservarsi intatta pur nelle eventuali associazioni con altre forme di discorso. Anche in questo caso tutto il complesso −fase didattica in relazione al discorso globale della società− è oggi indagabile quasi esclusivamente nei suoi esempi in larga parte negativi (alcuni dei quali più sopra citati): questo perché il potere è assai meglio informato di quanto effettivamente non ci insegni, sui meccanismi di strutturazione comunicazionale della società (altro caso di insufficienza didattica per indebita commistione con la politica o meglio con una precisa ideologia politica).

255. Riconsiderare la fase didattica

Il discorso propriamente didattico −cioè a senso unico da chi sa a chi non sa− non viene affatto escluso da una metodologia informata al concetto di: educazione − momento permanente di autostrutturazione della società. Esso non solo resta in molti casi fondamentale −nel senso proprio di fondamento a ogni altro discorso− ma rispecchia un modo comportamentale −quello che tramite l’immagazzinamento dell’informazione ne permette la trasmissione differita nel tempo (tradizione)− profondamente radicato nella biologia animale e specificamente evoluto dall’uomo al punto da divenire la sua punta di diamante nella penetrazione ecologica del mondo. Difficile, cioè, allo stato attuale, immaginare una civiltà (anche se in nuovissima prospettiva, ‘planetaria’) altrimenti fondata che sullo schema (tradizionale nell’accezione soggettiva e oggettiva): informazione immagazzinata, trasmissione differita, interazione con il nuovo e diverso ambiente. (Tentare una formulazione matematica del concetto di tradizione, nei suoi elementi quantificabili). Difficile quindi anche emarginare dal momento educazionale la fase strettamente didattica. Essa va piuttosto riconsiderata nel quadro d’insieme di tale momento: va chiesta la sua collocazione metodologica −di discorso-limite, ma con sue proprie, insostituibili funzioni−; soprattutto va attuata nella piena consapevolezza della sua appartenenza a un insieme discorsivo policentrico e onnidirezionale (esteso a tutta la società, oggi appunto planetaria), di cui costituisce una fase in nessun modo privilegiata, ma non per questo meno essenziale.

254. Autostrutturazione essenziale

Educazione = momento permanente di strutturazione (autostrutturazione) della società.

Educazione = momento permanente di trasformazione (autogenerazione) della società.

L’educazione non è propedeutica alla vita associata. Come momento permanente di essa, non è unidirezionale (dall’educatore all’educando) ma statuisce rapporti multilaterali, di cui ogni termine è al tempo stesso emittente e ricevente. E i messaggi prodotti non solo assicurano gli scambi comunicativi caratteristici del momento educazionale, ma garantiscono anche la coesione interna e la coerente evoluzione del sistema sociale. Non quindi trasmissione a senso unico da chi sa a chi non sa, ma circolazione di dati informativi di varia natura, tutti però ugualmente necessari all’articolazione interna del discorso comune. Il momento educazionale è costituente essenziale di ogni e qualsiasi sistema. Forse il principale. La società umana è probabilmente strutturata in funzione del suo momento educazionale ben più di quanto non sia viceversa.

Il momento educazionale è permanente non solo nel senso che una parte della società vi è costantemente impegnata, ma piuttosto nel senso che tutti i suoi componenti lo sono; ancor più, che ne è partecipe la quasi totalità dei comportamenti sociali. La fase educazionale si estende infatti a tutta intera la vita del singolo e della collettività. Le compete una funzione agglutinante, la stessa che spetta ai circuiti e ai sistemi comunicativi (linguaggi, convenzioni, rituali): la maggior parte dei messaggi umani ha infatti una componente educazionale. La società educa se stessa; l’educazione è il motore della sua evoluzione. Nel processo educativo l’educando è il portatore dell’energia necessaria a modificare il sistema, a farlo ‘progredire’, mentre all’educatore è assegnata la funzione di fissare quell’energia e renderla utilizzabile all’interno delle strutture attuali del sistema. Solo che non è sempre chiaro chi sia l’educatore e chi l’educando, cosicché è forse più utile parlare di funzioni (variamente distribuite) anziché di personaggi.

Alcune conseguenze della proposizione: educazione = momento permanente di autostrutturazione sociale.

a) Le strutture necessarie all’educazione non costituiscono per la società una spesa ma un investimento. E non nel senso che servono a preparare le forze di lavoro e di produzione, cioè la ricchezza del domani, bensì in quanto sono esse stesse strutture portanti della società, punti di aggancio per una delle funzioni che la definiscono. Investimento che non ‘rende’ cioè non produce altro capitale, non è ‘inquinante’ secondo le vedute ecologiche attuali; è quindi di gran lunga da preferirsi ad altri investimenti, redditizi a breve e medio termine, disastrosi per sé e per la società in prospettiva di appena qualche decennio. Lo stop imposto dalla bomba H alla guerra totale, cui inevitabilmente seguirà una contrazione di volume delle guerre particolari, ha praticamente chiuso una grossa voce di uscita nel bilancio della società umana, causando uno squilibrio di funzioni che potrebbe portarla al fallimento (cioè all’autoestinzione), se dovessero mancare negli uomini (singolarmente e collettivamente) coscienza dell’attualità e volontà equilibratrice. Il riconoscimento della funzione socialmente autostrutturante dell’educazione −che in futuro potrebbe addirittura riassorbire le funzioni (anch’esse autostrutturanti) lasciate scoperte dallo stop alla guerra− è forse il fondamento di un nuovo discorso della società su se stessa, momento di riflessione cui potrebbe corrispondere un’effettiva ‘maturazione’, cioè l’adeguamento della società alle mutate condizioni dell’ecosistema uomo-terra. Ed è questa l’unica, effettiva forma di ‘progresso’.

b) Il rapporto educazionale è fondato assai più su corrispondenze multilaterali, su reciprocità di rapporti, che non su flussi informativi unidirezionali. L’esempio classico dell’insegnamento di scuola, che trasmette all’allievo quelle conoscenze che la società (degli adulti, cioè degli arrivati; ma è questa tutta la società?) ritiene indispensabili all’integrazione dell’individuo, anche questo esempio non fa eccezione, anzi è particolarmente probante. Infatti proprio attraverso la scuola (anche se non solo attraverso di essa) la società stabilita riceve precoci informazioni sui mutamenti in atto o imminenti. L’insegnante, più o meno consapevolmente, registra e comunica alle superiori istanze il grado di accoglimento che la giovane generazione riserba al sapere tradizionale, in altre parole l’attualità e il ‘valore’ di questo sapere. Sulla base di tali informazioni e ancora attraverso l’istituto scolastico la società stabilita può cosí eliminare all’origine eventuali ‘mutazioni’ culturali non controllabili per mezzo dei normali meccanismi di autoregolazione omeostatica. D’altro canto una società che volesse aprirsi ai processi trasformazionali non potrebbe che interrogare proprio la scuola (anche se non solo essa) sull’incidenza dei messaggi tradizionali nel tessuto sociale in formazione, sull’eventuale insorgenza di una diversa ‘domanda’ culturale, ovvero di nuovi orientamenti interpretativi, nuove letture di ciò che sembrava univocamente definito. In particolare l’insegnante, colui che trasmette l’informazione relativa alle strutture e alle trasformazioni storiche della società, riceve e, se cosciente della sua funzione, deve a sua volta interpretare il riflesso di tale messaggio, ricco per lui (e per la società) di nuova informazione, non meno di quanto l’originale lo era stato per il cosiddetto allievo.

c) Come il momento educazionale, cosí anche la musica è un fattore strutturante della società, talché l’insegnamento della musica lo è per cosí dire al quadrato. (Il caso è tuttavia del tutto generale, giacché quasi sempre i contenuti educazionali sono a loro volta modi di strutturazione della società - tecnologici, linguistici, metalinguistici ecc.). La trasmissione e la ricerca di modi di strutturazione sono per l’uomo attività tipicamente morfogenetiche (autogenerative). La società umana vive in quanto si trasforma, trasforma cioè quell’insieme di modi trasformazionali che è la vita. Cosí considerato, l’insegnamento della musica (come di ogni altra forma strutturante − non esornativa) appare essenziale alla società e inseparabile dalla sua evoluzione. Ciò significa da un lato che nessuna società, di fatto, ne è priva (neppure la nostra italiana, dove peraltro la educazione musicale è in massima parte affidata all’industria del consumo, è cioè associata a un momento regressivo); dall’altro che attraverso l’insegnamento della musica si può direttamente influire sulla configurazione sociale del domani, si può svolgere cioè un’azione eminentemente politica. Di qui la necessità che l’insegnamento della musica sia continuamente aggiornato (politicamente aggiornato), tenga conto dei problemi e delle eventuali provvisorie soluzioni quali si ricavano giorno per giorno dagli studi di antropologia, sociologia, pedagogia, dalle teorizzazioni semiologiche, comunicazionali, dalle sperimentazioni di nuove fonti sonore, di nuovi comportamenti musicali ecc. Il che determina l’ulteriore necessità di creare dei centri di ricerca e di coordinamento interdisciplinare, nonché degli organi adeguati di informazione e diffusione (riviste, bollettini, pubblicazioni varie). Inoltre, la necessità di organizzare dei gruppi di lavoro in questo senso, ma, prima ancora, di creare le condizioni di informazione e di interesse perché aumenti il numero dei ‘competenti’...

d) In quanto fattore strutturante della società, la musica è anzitutto scambio d’informazione tra parti di essa (individui, gruppi, culture). Il caso limite della cultura d’Occidente, dove l’informazione sembra procedere unidirezionalmente dallo specialista produttore di musica (l’esecutore, il compositore, in breve il musicista) al generico ascoltatore (ma esiste anche l’ascoltatore specializzato), in realtà non fa eccezione, giacché proprio dall’ascoltatore (specializzato o no) il musicista riceve le informazioni indispensabili all’orientamento della sua attività. Mentre tuttavia in altre civiltà non esiste o è molto meno pronunciata la conduzione specialistica della musica e anche al suo interno la divisione del lavoro (compositore, esecutore, con tutte le possibili sottocategorie, musicologo ecc.) è ben poco avvertibile, in Occidente la particolarissima funzione che la musica ha assunto nel contesto sociale (funzione prevalentemente estetica) fa si che gli scambi di informazione musicale avvengano per lo più attraverso canali unidirezionali, obbligati e facilmente controllabili. Uno di questi canali è appunto l’insegnamento della musica, che ovvie ragioni di conservazione politica tenderebbero a limitare alla trasmissione, da una generazione all’altra, di valori culturali riconosciuti, quindi anche dei presupposti semiologici (tecnici) che ne hanno permesso il riconoscimento. All’attività ‘tradizionale’ di tutto il gruppo (per esempio di una comunità tribale) si sostituisce da noi l’elargizione controllata degli interessi di un ‘patrimonio’ dichiarato tradizionale dal gruppo al potere, ma non necessariamente avvertito come tale dall’intera società. La conservazione, anzi l’accrescimento nel tempo, di questo patrimonio rafforza il potere in quanto gli subordina sempre più larghi strati sociali; non può quindi non essere al sommo dei suoi interessi, come del resto la politica della scuola ampiamente dimostra, e non solo nell’Occidente capitalista − si veda per esempio l’insegnamento della musica in Ungheria, indirizzato verso la formazione di una coscienza musicalmente tranquilla, in perfetto disaccordo con il mondo. Il potere gestisce quindi la musica accreditando l’opinione che i canali attraverso cui passa l’informazione musicale siano a senso unico (anche l’insegnamento della musica consisterebbe nel travaso di nozioni da chi le possiede a chi si ritiene necessario le acquisisca), esercitando tuttavia il suo controllo proprio in forza dell’informazione di ritorno. Una corretta circolazione dell’informazione musicale a livello pedagogico-didattico è quindi omologa a un’esplicita azione politica di smascheramento del potere. L’insegnamento corretto della musica è cioè esercizio e formazione di coscienza politica. Ma quale può dirsi un insegnamento corretto della musica? Un insegnamento che renda gli allievi coscienti e partecipi della situazione della musica nell’attualità. Coscienti e partecipi non solo come ricettori di messaggi, di comunicazioni culturali emesse dagli ‘specialisti’, non solo cioè come ascoltatori di musica, magari di avanguardia, ma anche e soprattutto come agenti di trasformazione dei messaggi, quando non produttori essi stessi di informazione musicale, quindi centri di strutturazione della società attraverso la musica. (Più volte, in passato, l’insegnamento della musica era stato di questo tipo, stimolatore di attività assai più che di ricettività, un’attività, s’intende, qualificata dalla società entro cui si svolgeva, rafforzatrice quindi delle sue strutture non meno che dei suoi privilegi). Ma un’attività musicale calata nella crisi dell’oggi e non, come negli anni della Gebrauchskunst, elusiva dei suoi maggiori problemi linguistico-comunicazionali, una tale attività non può prescindere dalla sperimentazione di modi autogenerativi di comunicazione musicale. Insegnamento sperimentale, quindi, nel duplice senso, soggettivo e oggettivo, dell’attributo; ma soprattutto sperimentazione della musica come politica, come momento strutturante della società.

e) L’analisi sociologico-culturale −come del resto anche altri approcci analitici, per esempio quello psicologico− ha come oggetto il rapporto tra le strutture semiologiche prodotte dalla società (o da alcuni suoi membri) e quella parte di esse mediamente utilizzata sia dal singolo che dalla collettività. In altre parole, non solo occorre analizzare il messaggio alla partenza (cosa relativamente facile là dove esistono documenti scritti) e all’arrivo (cosa assai più difficile, data, per la maggior parte degli individui, l’impossibilità di descriverlo compiutamente), ma anche le caratteristiche dei canali di trasmissione nonché la perdita o alterazione d’informazione ad essi imputabile. È anche necessario operare tutta una serie di distinzioni tra i diversi canali, alcuni dei quali (per esempio quelli neurofisiologici) largamente indipendenti (o almeno cosí sembra) da fatti sociologico-culturali, altri invece strettamente dipendenti da questi. Una corretta impostazione del discorso musica/politica ha quindi come presupposto un lavoro analitico oggi ancora in gran parte da fare. Del pari il discorso pedagogico-educazionale sulla musica, ovviamente connesso a quello politico (o forse coincidente con esso), deve concedersi un ampio margine di organica e documentata sperimentazione, giacché qui più che mai le ipotesi avanzate in sede teorica richiedono un’immediata verifica in situazione, se non altro per potersi modificare al passo con i mutamenti di quest’ultima. La linguistica, applicata a un organismo semiológico cosí complesso come la musica, è infatti una disciplina ancora troppo empirica perché si possa solo pensare, allo stato attuale delle conoscenze sulla trasmissione di informazioni ‘culturali’, di elaborarne autonomamente una teoria appena soddisfacente. A parte le evidenti difficoltà di natura sistematica, sono ancora troppo scarsi e scarsamente indagati i dati a disposizione, cosicché l’attività sperimentale, oltre ad avere funzione autostrutturante nei confronti del complesso semiológico ‘musica’, dovrebbe avere anche quella, conoscitiva in prima istanza, di fornire i dati necessari a una programmazione politica dell’esperienza musicale.

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